IL PROFETA ELIA
ELIA IL PROFETA DEL FUOCO
Elia
ha una grande importanza nella tradizione d’Israele ed anche nel Nuovo
Testamento, dove con Abramo, Mosé e Davide è uno dei quattro personaggi della
storia ebraica più richiamati. È così presentato in Siracide 48,112: “Allora sorse Elia profeta, simile al fuoco; la
sua parola bruciava come fiaccola[…]”. È il profeta che dice pochissime parole, arde
come il fuoco, perché con la parola della sua fede fa scendere dal cielo il
fuoco che divorerà il sacrificio preparato per il Signore sul monte Carmelo, e
in un carro di fuoco è assunto in cielo. È ricordato con nostalgia e atteso con
amore: “Fosti assunto in un turbine di fuoco su un carro di cavalli di fuoco, designato
a rimproverare i tempi futuri per placare l'ira
prima che divampi, per ricondurre il cuore
dei padri verso i figli e ristabilire
le tribù di Giacobbe. Beati coloro
che ti videro e che si sono addormentati nell'amore! Perché anche noi vivremo
certamente [il testo ebraico è incerto]”. In quanto esperto di comunicazione
rapida con il cielo data la sua assunzione in un carro di fuoco (percorre
l’intera distanza in quattro
balzi, quattro come sono i punti
cardinali) nella tradizione mistica della
Kabbala è colui cui il Signore affida il compito di portare ai mistici
la rivelazione di segreti divini:
inoltre è inviato
per essere invisibilmente presente
alla circoncisione di ogni figlio d’Israele e
renderne poi testimonianza in cielo. Perciò quando si circoncide un
bambino si dispone una sedia vuota per lui: è la sedia di Elia. E perciò nel
banchetto pasquale c’è sempre un posto preparato con la coppa per Elia, per
assicurare la comunicazione col cielo, essere interrogati sulla purezza della fede
ed avvisati subito dell’avvento del Messia.
Storicamente, Elia proviene da Tisbe (villaggio della Transgiordania) e
svolge il suo ministero profetico nel regno del Nord ai
tempi dei re Acab, Acazia e Joram nel sec. IX (fra l’874 e l’841 a.C.). Acab
aveva sposato Gezabele, figlia del re di Tiro, e aveva favorito il culto
idolatrico del Baal di Tiro. Elia si presenta come il gigante della fede, il
testimone del Dio unico: il suo nome esprime il suo messaggio Eli = mio Dio +
Jhv: il mio Dio è Jhv. È colui che dimostra con la vita che a Dio solo è dovuta
fiducia e obbedienza: vive alla presenza di Dio. “Per la vita del Signore Dio
d’Israele, alla cui presenza io sto” (1 Re 17,1; 18,15). L’intera opera di Elia
fa comprendere come la vera tentazione non sia l’ateismo, ma l’idolatria. Elia
è libero, coraggioso e indomabile davanti ai potenti (Acab), difensore dei
deboli (Nabot, la vedova di Zarepta), né ha paura del giudizio della gente: ha
zelo e vive la solitudine spirituale. Riguardo a Elia ci sono trasmessi sette racconti
(1 Re 1719 e 21 e 2 Re 1 e 2), che
riguardano: la siccità e la vedova di Zarepta (1 Re 17,124: il profeta
amico degli umili); il giudizio sul Carmelo dei falsi profeti (1 Re 18); la
teofania dell’Oreb (1 Re 19,118); la vocazione di Eliseo (1 Re 19,1921); la storia di Nabot e Acab (1
Re 21: il profeta è il vindice dei deboli, durissimo con i prepotenti); l’oracolo al re Acazia (2 Re
1); il rapimento in cielo (2 Re 2,118). Il contesto della siccità ha un valore
teologico perché ricorda a Israele la sua
condizione di popolo che dipende
totalmente dall’alto, da Dio: è
la grande differenza col popolo
d’Egitto, come è espressa
in Dt 11,1012: “ 10Perché il paese di cui stai per
entrare in possesso non è come il paese d'Egitto da cui siete usciti e dove gettavi il tuo seme e poi
lo irrigavi con il piede, come fosse un orto di erbaggi; 11ma il paese che andate a prendere in possesso
è un paese di monti e di valli, beve l'acqua della pioggia che viene dal cielo:
paese del quale il
Signore tuo Dio ha cura e
sul quale si posano sempre gli occhi del Signore tuo Dio dal principio
dell'anno sino alla fine”. La stessa geografia d’Israele ha dunque
un valore teologico e getta
luce sul messaggio di Elia, il paladino del monoteismo e
della radicale fiducia
nell’unico Dio davanti alle
prove della vita
e della storia. Scegliamo tre episodi chiave: la
vocazione di Elia; il giudizio dei falsi profeti; la teofania dell’Oreb. La
vocazione (1 Re 17): “ A
lui fu rivolta questa
parola del Signore: «Vattene di qui, dirigiti verso oriente; nasconditi
presso il torrente Cherit, che è a oriente del Giordano. 4 Ivi berrai al torrente e i corvi per mio comando ti
porteranno il tuo cibo». 5 Egli eseguì l'ordine del Signore; andò a stabilirsi sul torrente Cherit, che è a
oriente del Giordano. 6 I corvi gli portavano pane al mattino e carne alla sera; egli beveva al torrente”.
“Vattene di qui”: si tratta di lasciare le certezze. “Dirigiti verso oriente”: e andare verso Dio.
“Nasconditi”: il profeta deve stare anzitutto nel nascondimento, nutrito da
Dio, in un abbandono totale al Signore. Il Cherit è quasi un’oasi al fondo di
un burrone desertico: Dio è come l’oasi
del profeta... Il giudizio del
Carmelo (1 Re 18): la
posta in gioco
è la fede monoteistica.
L’idolatria rassicura, perché l’idolo è
afferrabile e manipolabile. Dio, invece, è il Dio vivo, alla cui presenza Elia sta (1 Re 17,1), e dunque il Dio
imprevedibile, libero, sovversivo, che odia i prepotenti (Acab) e predilige
i poveri (la vedova, Nabot), e
opera in quelli che si
dimenticano di sé e amano il
nascondimento e la semplicità, abbandonandosi a Lui. La teofania
dell’Oreb (1 Re 19,118): è descritta anzitutto la debolezza di Elia, che ce lo
fa sentire molto vicino nella sua
umanità così vera. Dio interviene con delicatezza nel momento della massima
umiliazione di Elia. Elia
va verso il deserto mosso da domande
vere: il dolore di un
popolo che ha conosciuto Dio e lo ha abbandonato, nonostante i segni di
misericordia e di potenza. La persecuzione dei potenti, cui dà fastidio il
testimone delle esigenze di Dio. È impaurito, stanco, desidera la morte: la sua
sofferenza nasce dal constatare quella che gli sembra la sconfitta di Dio
nel cuore del Suo popolo. La domanda su
Dio, che lo spinge verso il
deserto, è per lui veramente
questione di vita o di morte... Cerca Dio nel deserto: il deserto
midbar è il luogo del dabar la parola. Nel deserto si ascolta la parola (cf. Os 2,16: «La attirerò
a me, la condurrò nel deserto e parlerò
al suo cuore»). Coglie i segni umili di Dio: mangia un pane, beve un orcio
d’acqua indicatigli dall’Angelo. Accetta
il tempo di Dio: «Con la forza datagli da quel cibo, camminò per
quaranta giorni e quaranta notti fino al
monte di Dio, l'Oreb» (v. 8): persevera
nel cammino delle notti e dei
giorni, secondo il tempo di Dio. Gli
appuntamenti di Dio non sono i nostri... Sul monte santo fa l’esperienza di
Dio: nell’intimità con Dio, nell’ascolto
profondo (la caverna). La presenza di
Dio è un passaggio: «Il Signore passò» (v. 11). È il Dio vivente, non un morto oggetto, un idolo. Il Signore non è nel
vento, nel terremoto, nel fuoco, simboli di forza, di violenza. Il Signore è nella «voce di un
silenzio sottile» «qol demamah daqqah» hqd hmmd lwoq. Il silenzio si ascolta
coprendosi il volto in segno di adorazione e di umiltà e rispondendo alla voce
che chiama, che invia. L’esistenza di Dio è provata dal Suo silenzio, dalla Sua
parola, lì dove si fa esperienza di Lui:
gli argomenti contrari non sono che lo spazio della “difficile libertà”, che
rende degno l’assenso. Elia è così
nuovamente inviato dal Signore, che gli garantisce un resto (v. 18) fedele nel
Suo popolo, testimone della fedeltà
delle promesse divine: lo sottolineerà Paolo nella Lettera ai Romani ricordando l’episodio di Elia: “ 2 Dio
non ha ripudiato il suo
popolo, che egli ha scelto fin
da principio. O non sapete forse ciò che
dice la Scrittura, nel passo in cui Elia ricorre a Dio contro
Israele? 3 Signore, hanno ucciso i tuoi profeti, hanno rovesciato i tuoi
altari e io sono rimasto solo e ora
vogliono la mia vita. 4 Cosa gli risponde
però la voce divina? Mi sono
riservato settemila uomini,
quelli che non hanno piegato il ginocchio davanti a Baal. 5 Così anche al
presente c'è un resto, conforme a
un'elezione per grazia. 6 E se lo è per
grazia, non lo è per le opere; altrimenti la
grazia non sarebbe più grazia” (Rm 11).
DAL
I LIBRO DEI RE (CAP. 17) Elia: “ Il mio Dio è Dio” Elia, il Tisbita, uno degli
abitanti di Gàlaad, disse ad Acab: «Per la vita del Signore, Dio di Israele, alla cui presenza io sto, in questi
anni non ci sarà né rugiada né pioggia, se non quando lo dirò io». A
lui fu rivolta questa
parola del Signore: «Vattene
di qui, dirigiti verso oriente;
nasconditi presso il torrente Cherit, che è a oriente del Giordano. 4 Ivi
berrai al torrente e i corvi per mio
comando ti porteranno il tuo cibo». Egli eseguì l'ordine del Signore; andò a stabilirsi sul torrente Cherit, che è a oriente del
Giordano. 6 I corvi gli portavano pane al mattino e carne alla sera; egli beveva al torrente. DAL I LIBRO DEI RE (CAP. 18) Il giudizio dei
falsi profeti Acab disse a Elia: «Sei tu
la rovina di Israele!». Quegli rispose: «Io non rovino Israele, ma piuttosto tu
insieme con la tua famiglia, perché avete abbandonato i comandi del Signore e
tu hai seguito Baal. 19 Su, con un
ordine raduna tutto Israele presso di me sul monte Carmelo insieme con i quattrocentocinquanta profeti di Baal e
con i quattrocento profeti di Asera, che mangiano alla tavola di Gezabele». Acab convocò tutti gli
Israeliti e radunò i profeti sul monte Carmelo. Elia si accostò a tutto il popolo e disse: «Fino a quando
zoppicherete con i due piedi? Se il Signore è Dio, seguitelo! Se invece lo è
Baal, seguite lui!». Il popolo non gli rispose nulla. Elia aggiunse al popolo:
«Sono rimasto solo, come profeta
del Signore, mentre i profeti di Baal sono quattrocentocinquanta.
Dateci due giovenchi; essi se ne scelgano uno, lo squartino e lo pongano sulla
legna senza appiccarvi il fuoco. Io
preparerò l'altro giovenco e lo porrò sulla legna senza appiccarvi il fuoco. Voi
invocherete il nome del vostro dio e io invocherò quello del Signore. La
divinità che risponderà concedendo il fuoco è Dio!». Tutto il popolo rispose: «La proposta
è buona!». Elia disse
ai profeti di Baal: «Sceglietevi
il giovenco e cominciate voi perché siete
più numerosi. Invocate il nome
del vostro Dio, ma senza appiccare
il fuoco». Quelli presero il giovenco, lo prepararono e
invocarono il nome di Baal
dal mattino fino a mezzogiorno, gridando: «Baal, rispondici!». Ma non si sentiva un
alito, né una risposta. Quelli continuavano a saltare intorno all'altare che avevano eretto. Essendo già mezzogiorno,
Elia cominciò a beffarsi di loro dicendo: «Gridate con voce più alta, perché egli è un dio! Forse
è soprappensiero oppure indaffarato o in viaggio; caso mai fosse addormentato, si sveglierà». Gridarono
a voce più forte e si fecero incisioni, secondo il loro costume, con spade e
lance, fino a bagnarsi tutti di sangue. Passato
il mezzogiorno, quelli ancora agivano da invasati ed era venuto il momento in cui si sogliono offrire i sacrifici, ma non si sentiva alcuna voce né
una risposta né un segno di
attenzione. Elia disse a tutto il popolo: «Avvicinatevi!». Tutti si avvicinarono. Si
sistemò di nuovo l'altare del Signore
che era stato demolito. 31Elia prese dodici pietre, secondo il numero delle
tribù dei discendenti di Giacobbe, al quale il Signore aveva detto: «Israele
sarà il tuo nome». Con le pietre eresse
un altare al Signore; scavò
intorno un canaletto, capace di contenere due misure
di seme. Dispose la
legna, squartò il giovenco e lo pose sulla
legna. Quindi disse:
«Riempite quattro brocche
d'acqua e versatele sull'olocausto e sulla legna!». Ed
essi lo fecero. Egli disse:
«Fatelo di nuovo!». Ed essi ripeterono il gesto. Disse ancora: «Per la
terza volta!». Lo fecero per la terza
volta. L'acqua scorreva intorno all'altare; anche il canaletto si riempì d'acqua. Al
momento dell'offerta si avvicinò il
profeta Elia e disse: «Signore, Dio di
Abramo, di Isacco e di Giacobbe, oggi si sappia che tu sei Dio in Israele e che
io sono tuo servo e che ho fatto tutte queste cose per tuo comando. Rispondimi, Signore, rispondimi
e questo popolo sappia che tu sei il Signore Dio e che converti il loro cuore!». Cadde il fuoco
del Signore e consumò l'olocausto, la legna, le pietre e la cenere, prosciugando l'acqua del canaletto. A
tal vista, tutti si prostrarono a terra ed esclamarono: «Il Signore è Dio! Il Signore è Dio!». Elia
disse loro: «Afferrate i profeti di Baal; non ne scappi uno!». Li afferrarono. Elia li fece scendere
nel torrente Kison, ove li scannò. DAL I LIBRO DEI RE (CAP. 19) La teofania
sull’Oreb 1 Acab riferì a Gezabele ciò che Elia aveva fatto e che aveva ucciso
di spada tutti i profeti. 2 Gezabele inviò un messaggero a Elia per dirgli:
«Gli dei mi facciano questo e anche di peggio, se domani a quest'ora non avrò reso te come uno
di quelli». 3 Elia, impaurito, si alzò e se ne andò per salvarsi. Giunse a Bersabea di Giuda. Là fece sostare il suo ragazzo. 4 Egli si
inoltrò nel deserto una giornata di cammino e andò a sedersi sotto
un ginepro. Desideroso di morire, disse:
«Ora basta, Signore! Prendi la mia
vita, perché io non sono
migliore dei miei padri». 5 Si coricò e
si addormentò sotto il ginepro. Allora, ecco un angelo lo toccò e gli disse:
«Alzati e mangia!». 6 Egli guardò e vide vicino alla sua testa una focaccia cotta su pietre roventi e un orcio
d'acqua. Mangiò e bevve, quindi tornò a coricarsi. 7 Venne di nuovo l'angelo
del Signore, lo toccò e gli disse:
«Su mangia, perché è
troppo lungo per te il cammino». 8 Si alzò, mangiò e bevve. Con la
forza datagli da quel cibo, camminò per quaranta giorni e quaranta
notti fino al monte di Dio,
l'Oreb. 9 Ivi entrò in una caverna
per passarvi la notte, quand'ecco il Signore gli disse:
«Che fai qui, Elia?». 10 Egli
rispose: «Sono pieno di zelo per il
Signore degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua
alleanza, hanno demolito i tuoi altari,
hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi tentano di
togliermi la vita». 11 Gli fu detto: «Esci e fermati sul monte alla presenza
del Signore». Ecco, il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da
spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento
ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. 12 Dopo il terremoto
ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero. 13 Come l'udì,
Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all'ingresso della caverna.
Ed ecco, sentì una
voce che gli diceva: «Che
fai qui, Elia?». 14 Egli rispose:
«Sono pieno di zelo per il
Signore, Dio degli eserciti, poiché gli
Israeliti hanno abbandonato la tua
alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti.
Sono rimasto solo ed essi tentano di togliermi
la vita». 15 Il Signore gli disse: «Su, ritorna sui tuoi passi verso il deserto di Damasco; giunto là,
ungerai Hazaèl come re di Aram. 16 Poi ungerai Ieu, figlio di Nimsi, come re di
Israele e ungerai Eliseo figlio di Safàt, di Abel_Mecola, come
profeta al tuo posto. 17 Se uno scamperà dalla spada di Hazaèl, lo ucciderà Ieu; se uno scamperà
dalla spada di Ieu, lo ucciderà Eliseo. 18 Io poi mi sono risparmiato in Israele settemila persone,
quanti non hanno piegato le ginocchia a Baal e quanti non l'hanno baciato con la bocca.
Le
domande di Elia: guardo a Dio solo? Sono libero dai giudizi della gente? Libero
verso i potenti? Dalla parte degli
umili? Servo il Dio vivo? Sto alla sua presenza sempre? Cerco di essere col Suo aiuto il testimone di Dio anche nel
tempo della sconfitta di Dio? Quali sono gli idoli che mi / ci impediscono la conoscenza del Dio vivo e
vero?
Elia, passione per Dio
(di: Mario
Colavita)
È uno dei più grandi personaggi della Bibbia, uno dei più
misteriosi; della sua vita sappiamo poco o niente. Compare all’improvviso da un
villaggio di Tisbe (el-Istib, a circa venticinque chilometri a nord del fiume
Iabboq; una terra al di là del Giordano, piena di grandi pascoli, di foreste di
querce e di terebinti, terra fragrante di resine e balsami preziosi[1]),
e non sappiamo dove sia finito.
Sant’Epifanio riferisce che, quando la madre diede alla luce
Elia il padre, Sadoc, ebbe una visione: alcuni uomini vestiti di bianco
rendevano omaggio ad un neonato, lo strappavano dal seno della madre, lo
gettavano nel fuoco e, invece di cibo, lo nutrivano di fiamme. Per questa sua
visione il padre si recò a Gerusalemme per riferire ai sacerdoti le meraviglie
di cui era stato testimone ed ebbe la seguente risposta: «Guardati dal pubblicare
tale visione, poiché luce sarà la sua dimora; la sua parola sarà
interpretazione e sapienza e giudicherà Israele col fuoco e con la spada a
doppio taglio».[2]
Chi è Elia?
Il nome Elia, dall’ebraico ‘elîyyâ, è composto da un pronome personale e da una
delle radici del tetragramma sacro del nome di Dio. Il suo significato è “El è Jah”, “Il Signore è il mio Signore”,
o anche “Yhwh è Dio”. Il
nome evoca zelo, passione, amore per la Parola e per il monoteismo di Dio.
I padri della Chiesa, da
Agostino a Girolamo, Gregorio di Nazianzo, Gregorio di Nissa e Giovanni
Crisostomo, ne esaltano le virtù e lo additano come maestro di santità.
Sant’Agostino lo propone come
tipo di Cristo. Come Gesù digiunò quaranta giorni e notti, Elia si levò come il
fuoco ardente di zelo per la gloria di Dio predicando e richiamando i peccatori
a penitenza e annunziando loro le vie della giustizia e della santità. Il
vescovo di Ippona non manca di ricordare la fine gloriosa del profeta. Come il
figlio di Dio, Elia richiamò alla vita i morti e fu eletto simbolo della sua
ascensione essendo stato rapito al cielo sopra un carro trionfale.
Per Girolamo, Paolino di
Nola, Giovanni Crisostomo, Cassiano, Ruperto e Pietro Damiani, Elia è il
modello della vita monastica.
Cromazio d’Aquileia in un suo sermone, commentando l’episodio
della vedova di Zarepta, vi legge in chiave tipologica la presenza della Chiesa
e di Cristo. «Questa donna prefigurava in tutto la Chiesa, poiché venerava già
in Elia la figura di Cristo che amava più dei suoi figli e della sua stessa
vita».[3]
Il vescovo di Aquileia, nelle catechesi al popolo, accostava la
figura della vedova di Zaretpa alla Chiesa che, accogliendo Cristo, fa
l’esperienza della grazia; così leggeva simbolicamente: «La farina simboleggia
il nutrimento della Parola; l’olio il dono della misericordia divina; il legno
il mistero della croce adorabile, per mezzo della quale ci è donata la pioggia
del cielo […]. Il Signore e Salvatore nostro ci ha mandato la pioggia dal
cielo, cioè la predicazione evangelica, con la quale ha ricreato con acque vive
i cuori degli uomini rinsecchiti come una terra sitibonda».[4]
La dimora di Elia è il Carmelo, un’antica tradizione sottolinea
come il profeta, chiamato in arabo El
Khader (significa il verdeggiante, il vivente, colui che non
muore mai e sta in ogni luogo), abiti ancora la montagna del Carmelo,
rendendola sacra e venerabile.
Una leggenda antica narra che
la Famiglia di Nazareth, di ritorno dall’esilio dell’Egitto, prima di tornare a
Nazareth si sia fermata al Carmelo, luogo di uomini santi.
La tradizione araba collega la figura di Elia alla
fecondità. El-Khader rende
l’immagine dell’oasi, del verde e dell’acqua. La leggenda araba dice che una
volta El-Khader (il
quale beve solo acqua della vita) versò il resto dell’acqua rimasta nel suo
vaso sopra una pianta che vi era vicino, il fico d’India, e da quel tempo la
pianta è rimasta sempre verde, indistruttibile. Elia secondo tale credenza è
sempre associato alla vita e alla fecondità. Ancora oggi in Terra Santa la
festa di sant’Elia (20 luglio) è considerata come l’inizio dei rannuvolamenti
del cielo.[5]
La tradizione islamica onora e venera Elia come profeta, uomo
giusto e santo. Nel Corano in due sure (capitoli) viene evocato il nome di
Elia. Nella sura 6 Elia è ricordato tra Zaccaria, Giovanni e Gesù, uomini santi
che fanno bene.[6] Nella
sura 37 è ricordato come il profeta dell’unicità di Dio e lodato: «E la sua
lode perpetuammo fra i posteri: Pace su Elia! Perché noi così compensiamo i
buoni: ché ei fu di certo tra i nostri servi credenti».[7]
Il Catechismo
della Chiesa cattolica presenta Elia come modello di vita
cristiana, di ricerca e di passione per Dio; lui, Elia, «è il padre dei
profeti, della generazione di coloro che cercano Dio, che cercano il suo Volto»
(CCC, 2582).
Nel libro del Siracide
abbiamo questa lapidaria espressione che ci aiuta a comprendere la missione e
la forza di questo uomo di Dio: «E sorse Elia profeta, come un fuoco; la sua
parola bruciava come fiaccola» (Sir 48,1). Con questa fiamma Israele
ritrova il suo cammino verso Dio.
Elia uomo di Dio, il profeta
dalla parola di fuoco e dell’unicità di Dio, diventa, nell’ebraismo, nel
cristianesimo e nell’islam, l’archetipo del maestro spirituale.
Il ciclo di Elia nella Bibbia
La storia di Elia ci fa
comprendere come la vera tentazione dell’uomo non sia tanto l’allontanamento da
Dio quanto l’idolatria. In un certo senso, il profeta di Tisbe ricorda come
l’uomo libero ha più facilità nell’annunciare la verità di Dio, senza
compromessi né scorciatoie. Dinanzi a re e regine il profeta annuncia il fuoco
della Parola, conferma la sua passione e il suo amore all’unico Dio, non ha
paura delle minacce di morte, anzi con l’aiuto di Dio diventa il maestro e il
custode dell’alleanza del Sinai.
La lotta al tempo di Elia non è tanto tra un re e una regina
ingiusta (Acab e Gezabele), ma tra due visioni religiose completamente opposte:
tra un dio della fertilità – Baal –, il grande dio delle tempeste, della
prosperità e della fecondità, immaginato come un toro che feconda la terra
madre con la pioggia, rendendola fertile, e il Dio del deserto e dell’alleanza,
tra baalaismo e jahvismo.
Il re Acab, figlio di Omri, salito al trono nell’874 a.C., «fece
ciò che è male agli occhi del Signore, più di tutti quelli prima di lui» (1Re
16,30), ma prese anche in moglie Gezabele figlia di Et-Bàal, re di quelli di
Sidòne, e si mise a servire Baal e a prostrarsi davanti a lui. Il prezzo dei
vantaggi economici e politici per Acab fu la sottomissione alla moglie
Gezabele, avida e senza scrupoli. Tuttavia Acab non lasciò il Signore, tanto
che diede ai suoi figli nomi di tradizione jahvista (Acazia, Ioram e Atalia) e
si circondava di profeti del Signore (cf. 1Re 22,5-12).[8]
Come Abramo, Elia compie il
suo cammino esodale: «Vattene di qui, dirigiti verso oriente, nasconditi presso
il torrente Cherit» (1Re 17,2), obbedisce alla voce dell’Eterno e l’Eterno
approva le sue richieste.
Di Elia profeta non è
possibile sapere della sua nascita e fanciullezza, la vocazione profetica
appare all’improvviso criticando l’ottavo successore di Salomone, il re Acab;
scompare poi su di un carro misterioso infuocato.
I momenti della sua vita, tracciabili attraverso la lettura
della Bibbia sono: l’annuncio del flagello al re Acab e la permanenza al
torrente Cherit (1Re 17,1-6); la sua permanenza a Zarepta di Sidone e il
miracolo della risurrezione del figlio della vedova (1Re 17, 7-24); la sfida
sul monte Carmelo contro i profeti dei Balaam e fine della siccità (1Re
18,1-46); il viaggio nel deserto fino all’Oreb e la manifestazione di Dio (1Re
19,1-18); e, infine, la chiamata di Eliseo e il rapimento sulla merkavah, il mitico
carro di fuoco trainato dai serafini (1Re 19,19ss; 2Re 2,1-18).
La tradizione ebraica aveva
consegnato, nella notte della liberazione, la presenza difensiva e redentiva di
Adonaj; con il tempo, alla notte descritta dall’Esodo, la notte dall’uscita
dall’Egitto, il giudaismo ha aggiunto altre tre notti per manifestare la
grandezza dell’Eterno.
Leggiamo nel poema delle quattro notti nel Targum Palestinese in
lingua aramaica a commento di Esodo 12,48: «La
prima notte fu quella in cui Yhwh si manifestò sul mondo per crearlo. La
seconda fu quando Yhwh si manifestò ad Abramo, che aveva cent’anni, e a Sara
che ne aveva ottanta. La terza notte fu quando Yhwh apparve agli egiziani nel
cuor della notte: la sua mano (sinistra) uccideva i primogeniti degli egiziani
e la sua destra proteggeva i primogeniti d’Israele. La quarta notte (sarà)
quando il mondo arriverà alla sua fine per essere dissolto; i gioghi di ferro
saranno spezzati e le generazioni dell’empietà saranno distrutte. E Mosè
uscirà dal deserto e il re messia dall’alto dei cieli».[9]
Le quattro notti ci indicano le tappe decisive di Dio per la
salvezza. Anche per Elia possiamo prendere quattro tappe, quattro ore decisive
in cui il profeta manifesta la grandezza e la forza di Yhwh.
1. L’ora del giudizio del re Acab (1Re 17,1; 18,18). Il
profeta è chiamato a contrastare l’operato del re e a porre ferma resistenza.
Elia indirizza la storia di Israele al vero Dio e condanna senza appello i
potenti, gli idolatri e gli ingiusti.
2. L’ora del Carmelo (1Re18,20-40). Il monte sacro di Elia
diventa lo scenario dell’approvazione divina. Elia si rivela come sacerdote e
profeta insieme, conferma che Dio è con lui e che la forza di Israele è Yhwh. Il
popolo che confida in Dio diventa popolo dell’alleanza rinnovata, il cui
sigillo diventa il sacrificio consumato con il segno delle dodici stele. Lo
stesso sacrificio apre la porta alla conversione del cuore e alla proclamazione
che «Il Signore è Dio! Il Signore è Dio!» (1Re 18,39).
Il Dio di Elia è il Dio
imprevedibile, libero, sovversivo, che odia i prepotenti e predilige i poveri
(la vedova di Zarepta, Nabot).
3. L’ora della manifestazione di Dio (dalla debolezza alla
manifestazione). Nel deserto Elia impara la grammatica di Dio, che gli parla in
segni umilissimi: pane e acqua. Nel deserto Elia accetta il tempo di Dio
rinunciando ai suoi tempi: «Con la forza datagli da quel cibo camminò per
quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb» (1Re 19,8). Elia
persevera nel cammino delle notti e dei giorni, secondo quel tempo misterioso
significato nel numero 40 (i giorni del diluvio, gli anni dell’esodo d’Israele,
i giorni di Gesù nel deserto, il tempo che prepara la sua ascensione al cielo
ecc…), tempo che non sta nelle nostre mani, ma unicamente in quelle di Dio.
Il cammino di Elia verso l’Oreb è metafora del pellegrinaggio
della purificazione del cuore verso l’esperienza di Dio. Al monte di Dio,
l’Oreb, l’Eterno gli si manifesta in un venticello leggero, voce di un silenzio
sottile (1Re 19,12: qol
demamah daqqah). Il silenzio di Dio è purificativo e perfettivo. Il
silenzio si ascolta; così Elia, coprendosi il volto in segno di adorazione e di
umiltà, risponde alla voce che chiama.
4. L’ora della glorificazione, il carro di fuoco (2Re 2,11).
Alla fine del suo itinerario Elia oltrepassò il Giordano, fiume biblico per
eccellenza, e sale sul “carro divino (merkabah)”:
è la sua gloria, ma è anche l’intima comunione con l’Eterno.[10] Il
pellegrinaggio di Elia finisce al Giordano, la sua geografia visibile finisce
presso il luogo dove aveva sostato la carovana dell’Esodo prima di guadare il
Giordano ed entrare finalmente nella Terra promessa. Il salire del profeta nei
cieli è inizio di un’altra geografia: quella che la tradizione rabbinica e
popolare ha colorato di leggende e visioni.
Enoch ed Elia
Nella Bibbia solo Enoch, il
patriarca antidiluviano, è salito in cielo (cf. Gen 5,24) rapito da Dio. La
riflessione giudaica e cristiana successiva daranno a questi due personaggi la
forza e il privilegio di smascherare l’anticristo, l’unto-falso venuto a
corrompere l’umanità.
Nell’Apocalisse
di Elia, un testo apocrifo del IV secolo d.C., alla fine del testo,
al capitolo quinto, si descrive il giudizio finale, il grande combattimento in
cui l’avversario, il Falso, lo Spudorato, sarà annientato. Saranno Elia ed
Enoch ad annientare definitivamente l’anticristo: «[…] scendono Elia ed Enoch,
depongono la carne di questo mondo e assumono la carne dello spirito. Inseguono
il Figlio dell’Iniquità e lo uccidono, senza che riesca a proferir parola. In
quel giorno egli si scioglierà davanti a loro come il ghiaccio si scioglie col
fuoco».[11]
Il profeta Elia godrà di
molta simpatia nella cultura popolare giudaica. Le sue gesta e la scomparsa sul
carro di fuoco fanno di lui un personaggio “mitico”, un intercessore unico
presso il trono dell’Eterno. Attorno alla figura di questo profeta nasceranno
molte leggende e racconti che testimoniano la devozione e la vicinanza del
popolo al profeta di Dio.
Nella tradizione e nelle leggende giudaiche
Al tempo della siccità, si
racconta che Acab, l’infedele, chiese ad Elia in tono di scherno: «Mosè era
superiore a Giosuè, vero? E non ha forse detto che Dio non avrebbe fatto
piovere su Israele se il popolo avesse adorato gli idoli? Non c’è idolo a cui
non ponga omaggi, eppure godiamo di ogni bene e prosperità. Come puoi pensare che,
essendo rimaste inascoltate le parole di Mosè, si avverino quelle di Giosuè?».
Ed Elia ribattè: «Sia come tu dici! Viva il Signore, Dio d’Israele, dinanzi al
quale io sto; “in questi anni non ci sarà rugiada, né pioggia, se non per mio
comando”» (1Re 17,1).
La leggenda vuole che Dio non
poté fare a meno di esaudire la richiesta di Elia per cui né pioggia, né
rugiada bagnarono la terra d’Israele.
Venne la carestia, e il re
Acab cercò di vendicarsi sul profeta Elia, il quale fuggì nascondendosi e
mangiando di quello che i corvi gli portavano (prendendolo dalla dispensa del
pio re Giosafat).
Ma Dio, che ha pietà anche dei malvagi, cercò di convincere Elia
a sciogliere il voto seccando il torrente a cui il profeta attingeva l’acqua.
Ma dato che Elia era inflessibile, Dio ricorse ad un espediente per causare ad
Elia dolore facendo morire il figlio della vedova presso la quale egli abitava
e mangiava. Alla morte del figlio, la vedova[12] pensò
che il Signore l’avesse abbandonata. Elia chiese a Dio di risuscitare il
bambino e Dio lo ebbe in pugno: Dio avrebbe ascoltato la sua preghiera, a patto
che il profeta lo sciogliesse dalla promessa della siccità, visto che, per
risuscitare un morto, si usa la rugiada, e questo era precluso al Signore fino
a quando Elia lo legava all’impegno di non far piovere sulla terra.[13] Il
profeta si arrese, ma prima di tutto andò dal re Acab per vincerne
l’ostinazione, nonostante la carestia.
Alla fine si arrivò allo
scontro tra i profeti di Baal ed Elia sul monte Carmelo: la montagna che si era
sempre considerata il posto giusto per l’evento cruciale della storia di Israele,
cioè la rivelazione della Legge, fu risarcita con una serie di prodigi di cui
fu teatro e che stemperarono la sua delusione per aver dovuto cedere il passo
al Sinai.
Il primo miracolo dello scontro tra i profeti di Baal ed Elia fu
la scelta dei giovenchi: due gemelli allevati insieme furono presentati ai
duellanti e assegnati all’uno e all’altro. Elia non trovò nessuna difficoltà
con il suo animale, che fu condotto speditamente all’altare del sacrificio;
mentre tutti gli ottocentocinquanta sacerdoti di Baal messi insieme non
riuscirono a smovere di un passo il loro animale. Allora Elia convinse
l’animale dei sacerdoti di Baal, un toro, a seguire i profeti. L’animale aprì
la bocca e disse: “Noi due, il mio gemello ed io, siamo usciti dallo stesso
ventre, abbiamo mangiato alla stessa mangiatoia. Ora perché uno di noi è
destinato al Signore, a strumento di glorificazione del Nome Impronunciabile,
mentre io debbo finire ai Baal solo per fare infuriare il mio Creatore?”. Elia
convinse il toro a seguire i sacerdoti di Baal: «così non avranno scuse e tu
farai la tua parte nella glorificazione del Signore per la quale sarà usato il
mio giovenco».[14]Il
toro non volle muoversi e fu così che Elia dovette condurlo ai profeti di Baal.
Per poter approntare tutto, la costruzione dell’altare, lo scavo
del canale…, Elia ordinò al sole di fermarsi, come in antico fece Giosuè. «Per
Giosuè ti fermasti così da permettere ai figli d’Israele di conquistare i
nemici. Fallo dunque anche oggi, non per me e nemmeno per i figli d’Israele, ma
per inneggiare al Nome del Signore».[15] E
il sole obbedì. Verso sera, Elia chiamò il discepolo Eliseo e gli disse di
versare acqua sulle sue mani Qui il miracolo: l’acqua scese giù per le mani
fino a colmare il canale. Poi il profeta chiese a Dio di far scendere il fuoco.
Disse: «Signore del mondo, mi manderai come araldo alla fine del tempo ma, se
le mie parole non si avvereranno oggi, i figli d’Israele non mi presteranno
fede in futuro». La sua supplica fu accolta e dal cielo scese un fuoco che
divorò tutto sull’altare. Nonostante tutto questo, l’idolatria rimase ancora in
Israele, così che Elia cominciò ad accusare Israele al cospetto del Signore, il
quale visitò Elia nel crepaccio della montagna in cui era apparso a Mosè,
rivelando il proprio volto compassionevole e generoso e dimostrandogli che era
meglio difendere Israele che accusarlo.
Dopo circa tre anni, Elia venne traslato in cielo. Ma, prima di
salire in cielo, Elia ebbe una discussione con l’angelo della morte che si
rifiutava di farlo entrare avendo lui la giurisdizione su tutto il genere
umano. Il Signore gli aveva esplicitamente ordinato di far entrare il profeta
in cielo da vivo ma l’angelo della morte si lamentava perché questo fatto
avrebbe generato proteste in tutti gli esseri umani che non possono sfuggire
alla morte. Dopo un duello tra l’angelo della morte ed Elia, il profeta entrò
vittorioso in cielo avendo ai suoi piedi l’angelo della morte. Elia vive in
cielo in eterno, siede, prende nota delle azioni degli uomini e registra le
cronache del mondo.[16]
Elia è anche lo psicopompo,
colui che sta all’ingresso del paradiso e indica ai giusti il loro posto lassù,
colui che conduce su dal Gheinnam le
anime dei peccatori all’approssimarsi del Sabato e le riporta ai loro castighi
quando il giorno di riposo sta finendo, ed è sempre Elia che, dopo che hanno
espiato i loro peccati, conduce quelle anime al luogo della beatitudine eterna.
Secondo antiche leggende, il profeta Elia introdurrà il Messia
nel mondo mettendosi all’opera tre giorni prima.[17]
La venerazione di Elia nel
mondo ebraico è grande, ne fanno testo le leggende, le preghiere e la
considerazione che sarà Elia ad annunciare il ritorno del Messia. Non solo per
l’ebraismo Elia è il difensore dei deboli, dei poveri e del popolo d’Israele.
Martin Buber scrisse un’opera teatrale su Elia, nel colloquio tra il profeta e
Dio (la Voce), Buber fa dire a Dio nei confronti di Elia: «Sia fatta la tua
volontà, Elia, figlio mio. Mio messaggero, corri per la terra tutta. Soccorri
l’umanità nel suo travaglio. Sulle ginocchia tue reggi ogni figlio d’Israele
che nel mio Patto viene ammesso, e ciò che per lui apprendi, sappi ripetere al
suo orecchio. Al punto estremo del dolore, a colui che soffre fatti incontro,
rivelagli il mistero del mio essergli accanto. Al sorgere dell’alba del mio
giorno, poi, rappacifica i figli con i padri!».
Elia e l’ordine carmelitano
Chi evoca il profeta Elia non
può dimenticare che il profeta della parola che brucia è l’ispiratore della
spiritualità carmelitana. Il monte Carmelo, scenario mistico e solitario,
diventa luogo per temprare lo spirito di preghiera e di ricerca di Dio. Così
Elia, Eliseo e gli altri discepoli attraverso la contemplazione e la vita sul
Carmelo saranno ispiratori di nuove forme di vita monastica. Il Carmelo è
sempre stato conosciuto come luogo particolare e venerabile.
Nelle liste di Tutmosi III, di Ramses II e di Ramses III, il
Carmelo è chiamato Rosh
qadesh, il capo santo.[18] Su
questo monte si sviluppa un’intensa attività religiosa, di forma eremitica che,
dai tempi di Elia ad oggi, è stato raccolto dall’ordine che porta il nome del
monte: i carmelitani. I monaci del “Carmelo” vantano di avere come loro
fondatore Elia profeta.
Nella Rubrica
prima, testo con cui iniziano le Costituzioni dell’ordine
carmelitano del 1281, leggiamo: «Per rendere testimonianza alla verità,
affermiamo che, dal tempo dei profeti Elia ed Eliseo, i quali vissero
devotamente sul Monte Carmelo, santi padri del Vecchio e del Nuovo Testamento,
come veri amanti della solitudine di quel monte favorevole alla contemplazione
delle cose celesti, là, presso la fonte di Elia, vissero lodevolmente in santa
penitenza […]».[19]
Successivamente, dopo
l’approvazione dell’ordine da parte del patriarca Alberto di Gerusalemme, si
sviluppa nella vita carmelitana la devozione mariana legata a quella eliana. I
carmelitani costruirono sul monte Carmelo una chiesetta in onore della Vergine
Maria, la elessero quale patrona e si chiamarono “frati della beata Maria”.
Maria ed Elia diventano come le due colonne di una nuova forma eremitica in
Terra Santa.
Nei primi decenni del 1300 il carmelitano John Baconthorpe, nel
suo opuscolo Speculum
de istitutionis ordinis, tenta di unire per la prima volta la
tradizione mariana e quella eliana a quella carmelitana. Considerando i testi
del profeta Isaia 7,14 (in cui si annuncia la nascita del bambino dalla
vergine) e di Isaia 35,1-2 (il trionfo di Gerusalemme), il nostro autore
carmelitano fa della Madonna la signora del monte Carmelo.
Tutta una tradizione
patristica legge le gesta dei profeti sul Carmelo in chiave cristologica, così
non sarà difficile leggere i testi anche in chiave mariologica. Elia ed Eliseo
prefigurarono Cristo, figlio di Maria, e poiché questi abitavano il Carmelo,
intitolato alla venerazione della beata Maria, i carmelitani non potevano non
portare il titolo della beata Maria.
Nelle rinnovate Costituzioni dell’ordine si dice espressamente
dell’importanza della devozione mariana: «Maria è anche ideale e ispirazione
per il Secolare. Ella vive la prossimità alle necessità dei fratelli,
preoccupandosi di esse Ella, “l’immagine più perfetta della libertà e della
liberazione dell’umanità e del cosmo”, aiuta a comprendere il senso
della missione. Madre e Sorella, che ci precede nella peregrinazione della
fede e nella sequela del Signore Gesù, ci accompagna affinché la
imitiamo nella sua vita nascosta in Cristo e impegnata nel servizio degli
altri» (Costituzioni art.
30).
Nella storia della
spiritualità carmelitana è rimasta celebre l’immagine biblica della nuvoletta.
Dalla vetta del Carmelo, il servo di Elia vide salire dal mare una nuvoletta a
forma di mano umana che, in poco tempo, portò la pioggia per la terra e il
popolo assetati. Mistici ed esegeti, agli albori del cristianesimo,
interpretarono quella “nuvoletta” come l’immagine profetica della Madonna che,
con l’incarnazione e la nascita di Gesù, avrebbe dato vita e fecondità al
mondo. Già nel V secolo Crisippo, prete di Gerusalemme, saluta Maria con questa
espressione: «Ave nuvola della pioggia che offre bevanda alle anime dei santi».
L’ordine carmelitano, sotto la custodia di Maria, Sorella e Bellezza del Carmelo[20] di
Elia profeta, è chiamato a rinnovare la bellezza e la forza della Scrittura,
avendo come modello l’insegnamento forte e zelante del profeta Elia. Non solo,
nel solco dell’antica tradizione, i carmelitani, guardando al Carmelo, sono
chiamati a rinnovare una fiduciosa e filiale devozione mariana dal segno dello
scapolare.
Lo scapolare è essenzialmente un abito. Chi lo riceve viene
aggregato o associato in un grado più o meno intimo all’ordine del Carmelo,
dedicato al servizio della Madonna per il bene di tutta la Chiesa.[21]
Per l’ordine carmelitano Elia
rimane il patrono e l’intercessore per eccellenza. Un’antica leggenda dice che,
durante la trasfigurazione al monte Tabor, Elia abbia chiesto a Gesù che
l’ordine dei carmelitani rimanga sempre nella Chiesa. L’inno dei primi vespri
della solennità del profeta Elia (20 luglio) canta: «[Elia] guida dell’ordine e
dei figli, gloria; il sole che rinasce e poi tramonta, la terra, il mare e
tutti gli elementi le tue lodi ascoltino ammirati».
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