VANGELO DOMENICALE CON I PADRI DELLA CHIESA
IV DOMENICA DI PASQUA – ANNO C (Gv 10,27-30)
+Vangelo+
Alle mie pecore io do la vita eterna.
+Dal Vangelo
secondo Giovanni 10, 27-30
In quel tempo, Gesù
disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.
________________
La Parola ai Padri
27 ‘Le mie
pecore ascoltano la mia voce’
La voce del pastore
Qual è la voce del
pastore? Nel nome di lui ha da essere predicata la conversione e il perdono
dei peccati in tutte le genti a cominciare da Gerusalemme (Lc 24, 47).
Ecco la voce del
pastore. Riconosci te stesso e segui lui, se vuoi essere una delle sue pecore.
(Agostino, Sermoni
46, 32)
L'unione mistica con Cristo nell' obbedienza
Prova di
appartenere alle' pecore di Cristo è ascoltare volentieri ed essere pronto a
obbedire, come anche non star dietro alle cose estranee. E ascoltare è, per noi,
lo stesso che credere a ciò che si dice. Sono poi conosciuti da Dio quelli che
lo ascoltano; ed essere conosciuto equivale a essere congiunto: nessuno,
infatti, è del tutto sconosciuto a Dio. Quando, dunque, dice: Conosco le mie
è come se dicesse: "Le abbraccerò e le unirò a me misticamente e
possessivamente". Ma qualcuno forse potrebbe dire che egli, in quanto si è
fatto uomo, unisce a sé tutti gli uomini per l'uguaglianza del genere: in
questo modo siamo tutti congiunti a Cristo, in quanto si è fatto uomo, in modo
mistico. Sono invece estranei tutti quelli che non conservano l'immagine
conforme della santità.
[...] Dice poi: E
le pecore mi seguono. Infatti quelli che credono, per una certa grazia
divina seguono anche le orme di Cristo, non osservando ormai le ombre della
Legge, ma seguendo, con la S\la grazia, i comandamenti e le parole di Cristo:
saliranno alla sua dignità, in quanto chiamati a essere figli di Dio.
(Cirillo di
Alessandria, Commento al Vangelo di Giovanni 7, 1)
28 La vita
eterna
Cristo, che è vita, dà la vita
Ascendendo,
infatti, Cristo in cielo, anch'essi lo seguiranno: afferma che coloro che lo
seguono avranno come mercede e premio la vita eterna, inoltre che non saranno
soggetti alla morte e alla corruzione, e neppure alle pene che saranno inflitte
dal giudice a coloro che si abbandonano al peccato.
Per il fatto che
egli dà la vita, dimostra di essere egli stesso la stessa vita, e di averla da
se stesso senza riceverla da un altro. Intendiamo parlare della vita eterna,
non di una lunga vita di cui dopo la risurrezione, godranno tutti, tanto i
buoni che i cattivi (*giusti e maledetti; vita eterna-castigo etrno), ma di
quella che si vive nella pace e nella tranquillità. Possiamo intendere come
vita anche la mistica eucaristia per mezzo della quale Cristo inserisce la sua
stessa vita, facendo i fedeli partecipi della sua propria carne, secondo quanto
detto: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna (Gv
6, 54).
(Cirillo di
Alessandria, Commento al Vangelo di Giovanni 7, 1)
Il pascolo della vita eterna
Ecco il pascolo.
Se ricordate, prima aveva detto: Entrerà, e uscirà e troverà pascolo (Gv 10,
9). [...] Viene presentata la vita eterna come un buon pascolo; l'erba non
inaridisce dove tutto è sempre verdeggiante e pieno di vita: c'è un'erba di cui
si dice che è sempre viva. In quel pascolo si trova soltanto la vita. Io -
dice - darò la vita eterna alle mie pecore. Voi imbastite accuse, perché
pensate soltanto alla vita presente.
E non periranno in eterno; sottinteso: mentre voi
perirete eternamente, perché non siete delle mie pecore.
(Agostino, Commento
al Vangelo di san Giovanni 48, 5-6)
La grandiosa potenza della mano di Cristo
I fedeli hanno da
Cristo anche la protezione, giacché il diavolo non può rapirli, ossia essi
hanno un godimento continuo dei beni e rimangono in lui; nessuno può strappare
ad essi la tranquillità d'animo che è stata data loro riguardo alla pena e ai tormenti.
Non è possibile che: coloro che sono sotto la protezione di Cristo sono
rapiti per essere tormentati, giacché Cristo è di gran lunga più forte.
Infatti, nella Sacra Scrittura la mano significa la potenza, e non c'è dubbio
che la mano di Cristo sia invincibile e onnipotente.
(Cirillo di
Alessandria, Commento al Vangelo di Giovanni 7, 1)
Il potere del Padre e del Figlio
È forse una sola
la mano del Padre e quella del Figlio, oppure il Figlio stesso è la mano del
Padre suo? Se per mano intendiamo la potestà, unica è la potestà del Padre e
del Figlio, perché unica è la divinità; se invece per mano intendiamo ciò che dice
il profeta: Il braccio del Signore a chi è stato rivelato? (Is 53, 1),
la mano del Padre è il Figlio. Il che non significa che Dio abbia forma umana,
e perfino membra corporee; ma che per mezzo di lui furono fatte tutte le cose.
[...] In questo passo, per mano del Padre e del Figlio preferiamo intendere il
potere del Padre e del Figlio, onde evitare che, sentendo dire qùi che il Figlio
è la mano del Padre, qualche mente grossolana cominci a cercare un figlio al
Figlio, ravvisandoci in esso la mano di Cristo.
L'espressione
quindi: Nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio, significa: "Nessuno
me le può rapire".
(Agostino, Commento
al Vangelo di san Giovanni 48, 7)
Le pecore difese da un'unica potenza
Proprio perché tu
comprenda che la frase il Padre me le ha date venne pronunciata da lui
perché non lo chiamassero nuovamente "avversario di Dio", dopo aver
detto nessuno le può strappare dalle mie mani, prosegue dimostrando che
la mano sua e quella del Padre sono una cosa sola. Se le cose non stessero
così, avrebbe detto: "Il Padre me le ha date, è più grande di tutti, e
nessuno le può rapirle dalle mie mani''. Non disse però così, ma: dalle mani
del Padre mio. Quindi, perché tu non pensi che egli sia debole e che le
pecore siano al sicuro solo grazie alla potenza del Padre, aggiunse: Io e il
Padre siamo una cosa sola. E come se dicesse: "Non ho detto che
nessuno rapirà le pecore grazie alla potenza del Padre, nel senso che io non
sia capace di difenderle. Infatti io e il Padre siamo una cosa sola";
cioè, secondo la potenza, in quanto è di essa che qui si parla. Se poi la
potenza è identica, è evidente che anche la sostanza è identica.
(Giovanni
Crisostomo, Commento al Vangelo di Giovanni 61, 2)
Possiamo cadere dalle sue mani
Nessuno, infatti, rapisce dalle sue mani, come è detto nel Vangelo secondo Giovanni: non è affatto scritto che, come nessuno rapisce, così nessuno cade dalle sue mani, perché il principio di autodeterminazione è libero. Allora io dico: certo nessuno rapirà qualcosa dalla mano del pastore, dalla mano di Dio nessuno può prenderci, ma noi stessi per negligenza possiamo cadere dalle sue mani.
(Origene, Omelie su Geremia 18, 3)
Conosce il loro numero
Che può fare il lupo? Che possono fare il ladro e il brigante? Non rovinano se non chi è
predestinato alla morte. Di quelle pecore, invece, di cui l'Apostolo dice: Iddio
conosce quelli che sono i suoi (2
Tm 2, 19), e ancora: Quelli che egli ha preconosciuto li ha anche
predestinati, quelli che ha predestinati, li ha anche chiamati e quelli
che ha chiamati 'li ha anche giustificati: quelli infine che ha giustificati li
ha anche glorificati (Rm 8, 29-30): di queste pecore nessuna il lupo può
rapire, né il ladro rubare, né il brigante uccidere. Colui che sa cosa ha
pagato per esse, è sicuro del loro numero. ·
(Agostino, Commento
al Vangelo di san Giovanni 48,10)
29 Il Padre dà
al Figlio
Egli ha ricevuto la sua divinità dalla nascita
Questa è una
parola consapevole della propria potenza, un riconoscere la libertà di una
potenza inalterabile, per fatto che nessuno potrà strappare le pecore dalla sua
mano. Ma, pur essendo nella natura di Dio; per far capire che questa natura veniva
comunque da Dio per nascita, ha aggiunto: Ciò che il Padre mi ha dato è più grande
di tutto (Gv 10, 29). Non nasconde che è nato dal Padre. Ciò che ha
ricevuto dal Padre è più grande di tutto. E chi ha ricevuto possiede ciò
che ha ricevuto nell'atto di nascere, non dopo; e tuttavia viene da un altro,
perché lo riceve.
(Ilario di
Poitiers, La Trinità 7, 22)
La cosa più grande: essere il Verbo di Dio
Qual è la cosa più
grande di tutte che il Padre ha dato al Figlio? Gli ha dato di essere il suo
unigenito Figlio. [...] Non è uguale per essere cresciuto, ma per nascita,
colui che è nato da sempre: Figlio dal Padre, Dio da Dio, coeterno dall'eterno.
Il Padre è Dio, ma
non da parte del Figlio; il Figlio è Dio, procedente dal Padre, perché il
Padre, generandolo, ha dato al Figlio di essere Dio, generandolo gli ha dato di
essere con lui coeterno, a lui uguale.
Ecco ciò che è più
grande di tutte le cose.
[...] Egli
possiede la sapienza sì da essere egli stesso la sapienza e da rendere sapienti
gli altri; egli possiede la vita sì da essere egli stesso la vita e da far
vivere gli altri.
Ecco ciò che è più
grande di tutte le cose.
[...] Siccome
colui del quale Cristo è Verbo non procede dal Verbo, mentre il Verbo procede
da colui al quale appartiene; Cristo dice: Ciò che mi ha dato il Padre -di
essere cioè il suo Verbo, di essere il suo unigenito Figlio e lo splendore
della sua luce- è più grande di tutto. Perciò nessuno rapirà le mie pecore
dalla mia mano. Nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio.
(Agostino, Commento
al Vangelo di san Giovanni 48, 6)
30 Il Figlio e
il Padre sono una cosa sola
L'unità di Padre e Figlio è Dio
Con il Padre e Dio
dell'universo il nostro Salvatore e Signore non è una sola carne o un solo
spirito, ma qualcosa di più elevato che carne e spirito, ovvero un unico Dio.
Quando due esseri umani si uniscono, la parola appropriata è "carne".
Quando un giusto
si unisce a Cristo, la parola appropriata è "spirito". Quando però Cristo
è unito al Padre non si può parlare di carne o spirito; ma di cose più dégne di
questa: Dio.
In questo senso
dobbiamo intendere la frase: Io e il Padre siamo una sola cosa.
(Origene, Dialogo
con Eraclide 3-4)
Siamo e una cosa sola
Non ha detto:
"Io sono il Padre", oppure: "Io e il Padre è uno solo", ma
siccome ha detto: Io e il Padre siamo una cosa sola, tieni conto di
ambedue le espressioni: una cosa sola e siamo, e così eviterai Scilla
e Cariddi. Con la prima di queste due espressioni, cioè una cosa sola, ti
salva da Ario; con la seconda, cioè siamo, ti salva da Sabellio* Se è una
cosa sola, vuol dire che non è diverso; dicendo siamo, comprende il
Padre e il Figlio. Siamo infatti non si dice di uno solo; e una cosa
sola non si dice di cose diverse.
(Agostino, Commento
al Vangelo di san Giovanni 36)
* [Secondo Ario
solo il Padre può essere considerato veramente Dio, mentre il Figlio è una sua creatura.
Secondo Sabellio il Figlio rappresenta un altro modo di esistenza del Padre,
non una persona separata della Trinità].
Uguaglianza, non inferiorità
Come mai puoi confessare
che nella divinità, la quale è una e sempre la stessa, può coesistere
un'eguaglianza unica del Figlio col Padre, dato che egli stesso ha detto di sé:
Colui che mi ha mandato è più grande di me (Gv 14, 28)? Ahiimè! Se tu
affermi che quelle parole vadano intese in questo senso, risulterà evidente che
egli stesso ti metterà in contraddizione con te stesso, avendo affermato in un
altro contesto: Io e il Padre siamo una cosa sola. Dunque, se egli era
non si sarebbe paragonato al Padre nella sua natura eterna; o anche, se non
fosse pari, e nemmeno tale fosse stato nella divinità, non si sarebbe
eguagliato al Padre, affermando: Chi ha visto me, ha visto pure il Padre mio
(Gv 14, 2).
È fin troppo
evidente che, se non esistesse in essi una sola e reale immagine di natura, mai
egli avrebbe avuto 'la presunzione di affermare: Chi ha visto me, ha visto
pure il Padre mio.
(Pseudo-Atanasio, La
Trinità 3, 1-2)
Non unità di numero, ma di essenza.
A questo punto,
dunque, vogliono fermarsi questi stolti, anzi, questi ciechi, che non vedono
prima di tutto che "io e il Padre" è un nesso che indica due persone,
poi che [...] il verbo "siamo" non deriva dalla persona di uno solo, poiché
è stato detto al plurale, e poi è stato detto "siamo una cosa sola (unum
sumus) ", non "siamo uno solo (unus sumus) ". Se
avesse detto "siamo uno solo (unus sumus) ", avrebbe potuto
favorire la loro ipotesi: "uno (unus)" è, a quanto sembra,
l'espressione del numero singolare. Ancora, quando due di genere maschile sono detti
"una cosa sola (unum)", cioè di genere neutro cosa che non
riguarda l'unicità, ma l'unità, la somiglianza, la congiunzione, l'amore del
Padre che ama il Figlio e l'ossequio del Figlio che obbedisce alla volontà del
Padre, Cristo, dicendo: Io e il Padre siamo una cosa sola, mostra che sono
due quelli che lui considera uguali e unisce.
(Tertulliano, Contro
Prassea 22)
Il Figlio inviato dal Padre a pascere
Quando ci pasceva
lui ci pasceva Dio; e quando ci pasceva Dio, ci pascevano il Padre, il Figlio e
lo Spirito Santo. Ora si suscita e si fa avanti quasi un altro pastore.
Ma non è un altro
pastore. Non è un altro secondo la natura divina poiché, nella stessa natura
divina, lui e il Padre sono un solo Dio. Quanto invece alla natura di servo,
egli vien suscitato quasi diverso [dal Padre] e come tale inviato a pascere,
perché il Padre è maggiore di lui (Gv 14, 28).
Ascolta come uno
solo pasca e colui che pasce sia Cristo: Io e il Padre siamo una cosa sola.
(Agostino, Discorsi
47, 20)
Padre e Figlio: una sostanza, una potenza
Diciamo poi che il
Padre e il Figlio sono una cosa sola, non perché confondiamo le unità del
numero, come fanno alcuni che credono che il Padre e il Figlio sono la medesima
persona, ma credendo, invece, che il Padre sussiste per se stesso come pure il
Figlio, e tutti e due nell'identità di una sola sostanza, e sapendo che
costituiscono una sola potenza, sicché l'uno si veda nell'altro
indiscriminatamente.
(Cirillo di
Alessandria, Commento al Vangelo di Giovanni 7, 1)
Una sola cosa nell'essenza, non nella relazione
Come allora il
Figlio è della stessa essenza del Padre, se questi in senso assoluto non è
essenza, né in sé esiste in alcun modo, essendo per lui l'esistenza stessa
relativa al Figlio? Al contrario, invece: il Figlio è tanto più di una
medesima essenza con il Padre, perché il Padre e il Figlio sono una sola e
medesima essenza. Il Padre non esiste in senso assoluto, ma relativamente al
Figlio come essenza che egli ha generato e per la quale egli è tutto ciò che è.
Nessuno dei due,
dunque, è per se stesso e ciascuno dei due si dice relativamente all'altro. [...] Non resta altra alternativa che anche per la
sua essenza il Figlio si dica relativamente al Padre e si giunge così a questo
senso del tutto inaspettato che l'essenza non è essenza o, almeno, che quando
si parla di essenza è la relazione e non l'essenza che si designa. [...] In
nessun modo possiamo pensare che egli [il Padre] non sia nulla di assoluto, ma
che tutto si dica di lui in senso relativo al Figlio; che il Figlio invece sia
e qualcosa di assoluto in se stesso e qualcosa di relativo al Padre. [...]
Questo non è dunque vero; ma l'uno e l'altro sono sostanza, e l'uno e l'altro
sono la stessa sostanza.
(Agostino, La
Trinità 7, 1, 2)
Una cosa sola
Il Padre è in me, e io sono nel Padre (Gv 14, 11). Non disse:
"Io sono il Padre", ma: Il Padre è in me, e io nel Padre. Disse
poi: Io e il Padre siamo una cosa sola, non disse: “Io sono una cosa
sola col Padre”.
Non volle che
facessimo tra Padre e Figlio né un'assoluta divisione né una confusione o
filiopaternità. Sono una cosa sola, salva la dignità divina di entrambi,
di chi genera e di chi è generato. Padre e Figlio non si disputano la signoria,
come se la disputò Assalonne contro suo padre, perché sono una cosa sola anche
nella regalità, e i sudditi del Padre sono anche sudditi del Figlio. Sono una
cosa sola nel volere, perché tra quello del Padre e quello del Figlio non
c'è dissonanza o scissione, come se l'uno volesse diversamente dall'altro. Sono
una cosa sola anche nell'operare, perché tutte le opere del Cristo
convergono con quelle del Padre, sicché una è la creazione dell'universo ed è
opera del Padre e del Figlio.
(Cirillo di
Gerusalemme, Le catechesi 8, 16)
L'unità di essenza come base dell'unità di
volontà
Gli eretici quindi
non possono certamente negare queste affermazioni, perché sono dette e intese
così chiaramente; tuttavia le alterano con la stoltissima menzogna della loro
empietà, in modo da poterle negare. Difatti, la frase: Io e il padre siamo
una cosa sola (Gv 10, 30) cercano di riferirla a un accordo di tipo morale,
così che vi si troverebbe una unità di volontà e non di natura, e cioè
sarebbero una cosa sola non per quello che sono, ma perché vogliono la stessa
cosa. […] Se abbiamo menzionato queste affermazioni, è perché gli eretici
ammettono falsamente solo una unità di volontà tra il Padre e il Figlio,
servendosi dell'esempio della nostra unione con Dio. Come se a noi -uniti al
Figlio, e per mezzo del Figlio al 'Padre, solo per l'obbedienza e per una
volontà devota- non fosse concessa alcuna partecipazione in senso proprio e secondo
natura, in virtù del sacramento della carne e del sangue! [...] Essi sono una
cosa sola non a motivo del mistero della salvezza, ma in virtù di una nascita secondo
natura, per cui' Dio, nel suo essere, nulla perde di sé generando il Figlio.
Sono una cosa
sola, per cui quanto non è sottratto alla sua mano, non è sottratto alla mano
del Padre (Gv 17, 21); per questo, una volta conosciuto lui, è
conosciuto il Padre; in lui che è visto, è visto il Padre; ciò che dice, lo
dice il Padre che è in lui (Gv 14, 7-11). Ciò non è assicurato da una
creazione, ma dalla nascita; non è compiuto da un volere, ma da un potere; non
si parla di una unione degli animi, ma della natura. Il motivo è che non c'è identità
tra l'essere creato e il nascere; il volere non è lo stesso che il potere, e
l'essere in sintonia non è lo stesso che il sussistere in modo permanente. Non
neghiamo dunque l'unione degli animi tra il Padre e il Figlio. Questo sono
solito affermare falsamente gli eretici, che cioè, non accettando come unità la
sola concordia di volontà, noi sosterremmo che i due sono in disaccordo. Ma
ascoltino in che senso noi non neghiamo l'unione degli animi. Il Padre e il Figlio
sono una sola cosa per natura, per gloria, per potenza; e l'identica natura non
può volere cose diverse.
(Ilario di
Poitiers, La Trinità 8, 5, 17-19)
Unità di Dio, unità della chiesa
Il Signore dice: Io
e il Padre siamo una cosa sola (Gv 10,30) e di nuovo è scritto del Padre,
del Figlio e dello Spirito: E i tre sono una cosa sola (1 Gv 5, 8). E
qualcuno crede davvero che questa unità che deriva dalla divina saldezza, che
aderisce strettamente ai sacramenti celesti, possa spezzarsi all'interno della
Chiesa e dividersi a causa delle differenti opinioni di coloro che discutono
tra loro?
(Cipriano, L'unità
della Chiesa 6)
Commenti
Posta un commento