Domenica Della Santissima Trinità – ANNO C; Dal Vangelo secondo Giovanni, Gv 16,12-15, Con i Padri della Chiesa
Sul Mistero della Santissima Trinità:
Domenica dopo Pentecoste: Santissima Trinità
+Dal Vangelo secondo Giovanni+ Gv 16,12-15
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso.
Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future.
Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».
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Domenica Della Santissima Trinità – ANNO C; Dal Vangelo secondo Giovanni, Gv 16,12-15
+Vangelo+
Tutto quello che il Padre possiede, è mio; lo
Spirito prenderà del mio e ve lo annuncerà.
+Dal Vangelo secondo Giovanni+ Gv 16,12-15
La Parola ai Padri
Dobbiamo chiedere
e attendere, da colui che fa crescere, la grazia di crescere per poterlo
capire, sapendo che quanto più cresceremo tanto più potremo capirlo.
[Più si cresce e
più si capisce.]
1. Lo Spirito Santo che il
Signore promise di inviare ai suoi discepoli perché insegnasse loro tutta
intera la verità che essi allora, mentre egli parlava, non erano in condizione
di sopportare, [e noi, questo Spirito, come dice l'Apostolo, lo abbiamo
ricevuto in pegno (2 Cor 1, 22), in pegno cioè di quella
pienezza che ci è riservata nell'altra vita], insegna fin d'ora ai fedeli,
nella misura in cui ciascuno è capace di intendere le cose spirituali, e
accende nel loro cuore un desiderio di conoscere tanto più vivo quanto più
progredisce nella carità, grazie alla quale ama le cose che conosce e desidera
conoscere quelle che ignora; quelle però che in qualche modo conosce sa di non
conoscerle ancora come solo potranno essere conosciute in quella vita che mai occhio
vide, né orecchio udì, né cuor d'uomo poté mai immaginare (cf 1 Cor 2, 9). E se
fin d'ora, in questa vita, il Maestro interiore volesse dircele, cioè rivelarle
e manifestarle al nostro spirito in quel modo con cui solo allora potranno
essere conosciute, l'umana debolezza non riuscirebbe a sopportare tanto peso.
La vostra Carità certamente ricorda che di questo io ho già parlato commentando
il passo del santo Vangelo dove il Signore dice: Ho ancora molte cose
da dirvi, ma adesso non siete in condizione di portarle (Gv 16, 12).
Non dobbiamo immaginare che il Signore in queste parole abbia voluto nascondere
chissà quali arcani segreti, che il maestro può insegnare ma che non saranno
mai alla portata del discepolo. Ma se quelle stesse verità religiose della dottrina
cristiana che noi apprendiamo e insegniamo normalmente leggendo e scrivendo,
ascoltando e parlando, Cristo volesse dircele nel medesimo modo con cui le dice
ai santi angeli, direttamente lui, Verbo unigenito del Padre e coeterno al
Padre; chi mai sarebbe in grado di accoglierle, fosse pure giunto a quel grado
di spiritualità cui non erano ancora pervenuti gli Apostoli, quando il Signore
diceva loro queste cose, e a cui pervennero solo in seguito alla venuta dello
Spirito Santo? Infatti, qualunque cosa si possa apprendere intorno alla
creatura, è sempre inferiore rispetto al Creatore, che è Dio sommo, vero ed
immutabile. Ma come si può non parlare di Dio? Chi è che non lo nomina,
leggendo o discutendo, domandando o rispondendo, lodandolo ed esaltandolo, in
qualsiasi modo se ne parli e perfino bestemmiandolo? E tuttavia, benché tutti
parlino di Dio, chi è che lo comprende come deve essere compreso, anche se il
suo nome è sempre sulla bocca di tutti e tutti ne sentono parlare? Chi può
raggiungerlo con l'acume della sua mente? Chi avrebbe mai saputo che egli è
Trinità, se egli stesso non ce lo avesse rivelato? Ed ora tutti parlano di
questa Trinità; e tuttavia quale uomo potrà pensare della Trinità come gli
angeli? Le medesime cose dunque che di solito, pubblicamente e continuamente,
si dicono circa l'eternità, la verità e la santità di Dio, da alcuni vengono
intese bene, da altri male, o meglio da alcuni vengono intese e da altri no;
poiché chi intende male, non intende. Ma tra quelli stessi che intendono bene,
c'è chi riesce a penetrare le cose con maggiore acutezza e profondità degli
altri, nessuno tuttavia riesce a comprendere come gli angeli. Nell'anima, cioè
nell'uomo interiore, si verifica una crescita che si compie, non soltanto con
il passaggio dal latte al cibo solido ma anche per una assimilazione sempre
maggiore del cibo solido. E questa crescita non consiste in uno sviluppo
fisico, ma in una maggior chiarezza interiore, poiché si ha per cibo la luce
intellegibile. Se volete quindi conoscere in questo senso, e volete comprendere
sempre meglio Dio, e se, quanto più crescete, tanto più volete comprenderlo,
non dovete chiedere e attendere aiuto da un maestro che parla alle vostre
orecchie, cioè da uno che, operando all'esterno, pianta e innaffia, ma da colui
che fa crescere (cf. 1, Cor 3, 6).
2. Perciò, come nel
discorso precedente vi ho raccomandato, state attenti, soprattutto voi che
siete ancora bambini e avete ancora bisogno di latte, a non lasciarvi prendere
dalla curiosità di ascoltare quelli che, cogliendo pretesto da queste parole
del Signore: Ho ancora molte altre cose da dirvi, ma adesso non siete
in condizione di portarle, si ingannano e vogliono ingannare, né
pretendiate sapere cose sconosciute, mentre non siete ancora capaci di
discernere il vero dal falso; mi riferisco soprattutto a quelle vergognose
turpitudini che Satana insegna alle anime volubili e carnali. Dio permette
tutto questo perché in ogni momento siano temuti i suoi giudizi e perché, al
confronto della torbida nequizia, si gusti ancor più la limpidissima docilità
di cuore; di modo che, chi, sorretto da Dio non è caduto in questi mali, o con
il suo aiuto se n'è liberato, renda onore a Dio e proceda con timore e cautela.
Vegliate e pregate per non cadere nell'insidia descritta dai Proverbi di
Salomone, là dove si parla della donna dissennata, audace e sprovvista
di pane (Prv 9, 13), che invita i passanti dicendo: Venite a
mangiare il saporito pane nascosto e gustate la dolcezza dell'acqua furtiva (Prv
9, 17). Questa donna rappresenta la fatuità degli empi, che, essendo del tutto
insipienti, credono di sapere qualcosa, come questa donna, di cui si dice che
è sprovvista di pane. Priva di pane, promette pane; essendo,
cioè ignara della verità, promette la conoscenza della verità. Promette pane
clandestino dicendo che è saporito, e dolcezza di acque furtive, perché con più
gusto e piacere si ascoltino e si compiano le cose che nella Chiesa non è
lecito dire e credere apertamente. La stessa clandestinità è il condimento con
cui i nefasti dottori propinano i loro veleni ai curiosi, i quali credono di
aver appreso chissà che cosa proprio a motivo del segreto, e così più
soavemente assorbono l'insipienza, che scambiano per sapienza e il cui proibito
insegnamento riescono in qualche modo a carpire.
3. Per questo
l'insegnamento di arti magiche raccomanda i loro riti nefandi agli uomini che
sono stati o stanno per essere ingannati dalla loro curiosità sacrilega. Di qui
quelle illecite divinazioni mediante l'osservazione delle viscere degli animali
uccisi, del canto e del volo degli uccelli, delle molteplici segnalazioni dei
demoni, sussurrate alle orecchie di uomini destinati a perdersi per i
suggerimenti di altri uomini perduti. E' proprio a motivo di questi illeciti e
detestabili segreti, che quella donna viene definita non solo insipiente, ma
anche sfrontata. Ma, questi segreti sono estranei, non solo
alla natura, ma anche al nome della nostra religione. Che dire allora, vedendo
che questa donna insipiente e sfrontata, valendosi del nome cristiano, ha
fondato tante perverse eresie e ha inventato tante favole ignominiose? Volesse
il cielo che tutte queste favole fossero simili a quelle rappresentate nei
teatri con canti, danze e movenze oscene di cui si ride, e non fossero
inventate contro Dio con una insipienza che ci addolora e una sfrontatezza che
ci stupisce. Se non che tutti gli eretici più insipienti, che vogliono passare
per cristiani, cercano di legittimare le loro audaci invenzioni, sommamente
contrarie ad ogni senso comune, prendendo pretesto dall'affermazione del
Signore: Ho ancora molte cose da dirvi, ma adesso non siete in
condizione di portarle, come se queste loro invenzioni fossero appunto
quelle cose che allora i discepoli non erano in condizione di comprendere, e
come se lo Spirito Santo avesse insegnato proprio queste loro nefandezze che lo
spirito umano corrotto, per quanto grande sia la sua audacia, si vergogna di
insegnare e predicare apertamente.
4. Prevedendo gente
siffatta, ispirato dallo Spirito Santo, l'Apostolo dice: Vi sarà un
tempo in cui gli uomini non sopporteranno più la sana dottrina, ma si
sovraccaricheranno di maestri secondo le proprie voglie, facendosi solleticare
le orecchie, e storneranno l'udito dalla verità per rivolgerlo alle favole (2
Tim 4, 3-4). Il fascino di ciò che è segreto e furtivo, secondo l'espressione
del libro dei Proverbi: Venite a mangiare il saporito pane nascosto e
gustate la dolcezza dell'acqua furtiva, mette il prurito nelle
orecchie dei fornicatori spirituali che ascoltano, un prurito simile a quello
che la libidine provoca nella carne corrompendone la casta integrità. Ascoltate
l'Apostolo che, prevedendo queste situazioni, ci dà consigli salutari per
evitarle: Evita le profane novità di parole, giacché queste
progrediscono verso una empietà sempre maggiore e la parola di costoro si
diffonde come una cancrena (2 Tim 2, 16-17). Non dice di evitare le
novità di parole, ma le profane novità di parole. Vi sono infatti delle novità
in piena armonia con la dottrina cristiana, come ad esempio il nome stesso che
portano i Cristiani, di cui la Scrittura ci fa conoscere l'origine. Fu in
Antiochia che per la prima volta, dopo l'ascensione del Signore, i discepoli
cominciarono a chiamarsi Cristiani, come appunto si legge negli Atti degli
Apostoli (cf. At 11, 26). Fu così che gli ospizi ed i monasteri cambiarono
nome, senza cambiare la loro realtà e rimanendo stabili nella verità della
religione, che costituisce il loro solido baluardo contro ogni attacco. E così,
per combattere l'empia eresia degli ariani fu introdotto il termine homousion riferito
al Padre, ma senza volere con tale termine indicare una realtà nuova. Il
termine homousion corrisponde all'affermazione di Cristo:
Io e il Padre siamo una cosa sola (Gv 10, 30), cioè significa
che il Padre e il Figlio sono di un'unica e medesima sostanza divina. In
effetti, se ogni novità fosse necessariamente profana, il Signore non avrebbe
detto: Vi do un comandamento nuovo (Gv 13, 34), né si potrebbe
parlare di nuovo Testamento, né si potrebbe cantare un cantico nuovo in tutta
la terra. Ma sono profane quelle novità che esprime la donna insipiente
e sfrontata, quando dice: Venite a mangiare il saporito pane
nascosto e gustate la dolcezza dell'acqua furtiva. Dalla fallace
promessa di questa falsa scienza ci mette in guardia l'Apostolo nella lettera
in cui raccomanda: O Timoteo, custodisci il deposito, schivando le
profane novità di parole e le opposizioni di una scienza di falso nome,
professando la quale taluni sviarono dalla fede (1 Tim 6, 20). Costoro
infatti non fanno che promettere falsa scienza, e deridere, come ignoranza, la
fede delle verità che si propongono ai semplici fedeli.
5. Qualcuno dirà: Non
possiedono gli spirituali, nella loro dottrina, cose che tengono occulte ai
carnali e rivelano agli spirituali? Se dico di no, subito mi si citerà la
lettera ai Corinzi, dove l'apostolo Paolo dichiara: Non ho potuto
parlarvi come a degli spirituali, ma come a persone carnali, come a degli
infanti in Cristo. Vi ho dato da bere latte e non solido nutrimento, poiché non
ne eravate ancora capaci. E neppure adesso ne siete capaci, essendo ancora
carnali (1 Cor 3, 1-2). E l'altra affermazione: Tra i perfetti
esponiamo la sapienza. E l'altra ancora: Parliamo adattando
agli spirituali cose spirituali; l'uomo naturale non comprende le cose dello
spirito: sono follia per lui (1 Cor 2, 6 13-14). Vedremo, se il
Signore vorrà, il significato di tutto questo in un altro discorso, affinché
non accada che, basandosi su queste parole dell'Apostolo, non si ricorra a
profane novità di parole per esprimere significati misteriosi dicendo poi che
le persone carnali non sono in condizione di sostenere il peso di quelle cose
che lo spirito e il corpo degli uomini casti devono evitare. E così finalmente
poniamo termine a questo discorso.
Cose che non sono per ora alla vostra
portata. (ma per il momento non siete capaci di portarne il peso)
Uno può aiutare un
altro a capire, se lo Spirito Santo rende lui più capace di capire; e così
ambedue vengono ammaestrati da Dio.
1. Ricordo d'aver rinviato
la difficile questione, nata dalle parole di nostro Signore: Ho ancora
molte cose da dirvi, ma adesso non siete in condizione di portarle (Gv
16, 12), per poterla trattare con maggior calma, dato che la ristrettezza del
tempo ci costringeva a terminare quel discorso. Essendo ora giunto il momento
di mantenere la promessa, affronteremo la questione contando sull'aiuto del
Signore, che ci ha suggerito di proporvela. La questione è questa: se gli
spirituali abbiano nella loro dottrina temi che nascondono alle persone carnali
e rivelano agli spirituali. Se rispondiamo che non ne hanno, qualcuno potrebbe
replicare citando le parole che l'Apostolo scriveva ai Corinzi: Non ho
potuto parlarvi come a degli spirituali, ma come a persone carnali, come a
degli infanti in Cristo. Vi ho dato da bere latte e non solido nutrimento,
poiché non ne eravate ancora capaci. E neppure adesso ne siete capaci, essendo
ancora carnali (1 Cor 3, 1-2). Se invece rispondiamo che ne hanno, c'è
da temere seriamente che, con questo pretesto, qualcuno insegni occultamente
cose nefaste, pretendendo, in nome di cose spirituali che gli uomini ancora
carnali non sono capaci di comprendere, non solo di giustificare ogni infamia
ma perfino di riscuotere approvazione e lode.
2. Bisogna prima di tutto
che la vostra Carità tenga presente che riguardo a Cristo crocifisso di cui
l'Apostolo dice di avere alimentato i fedeli come i bambini col latte, e
riguardo anche alla carne di Cristo, nella quale si verificò una vera morte con
ferite e spargimento di sangue, il modo di intendere degli uomini carnali non è
come quello degli spirituali. Per i primi è latte, per i secondi è cibo solido.
Questi infatti ascoltano, sì, le stesse cose ma con una comprensione più
profonda; comune è la fede, diversa è l'intelligenza spirituale del contenuto
di essa. Così accadde che Cristo crocifisso, predicato dagli Apostoli, suscitò
scandalo presso i Giudei e fu giudicato follia dai Gentili, mentre per i
chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza e sapienza di Dio (cf. 1 Cor
1, 23-24). E tuttavia, mentre i fedeli deboli e carnali accettano queste cose
solo per fede, quelli più maturi le penetrano anche mediante l'intelligenza
spirituale. Per quelli, esse sono come latte, per questi sono cibo solido: e
non perché i primi abbiano ascoltato tali verità confusi tra la massa, mentre i
secondi le abbiano ascoltate in luoghi riservati, ma perché, sebbene gli uni e
gli altri abbiano ascoltato la medesima predicazione pubblica, ciascuno ha
compreso secondo la propria capacità. Infatti mentre Cristo fu crocifisso e
versò il suo sangue per la remissione dei peccati e così, attraverso la
passione del Figlio unigenito ci fosse rivelata la grazia divina in modo che
nessuno si vantasse nell'uomo, cosa dimostravano d'aver capito di Cristo crocifisso
quelli che ancora dicevano: io sono di Paolo (1 Cor 1, 12)?
Avevano forse capito quello che aveva capito lo stesso Paolo che diceva: A
me non accada di gloriarmi se non nella croce del Signore nostro Gesù Cristo (Gal
6, 14)? E così l'Apostolo prendeva per sé, secondo la sua capacità, il cibo
solido da Cristo crocifisso, e nutriva di latte i cristiani di Corinto,
adattandosi alla loro debolezza. Inoltre, sapendo che quello che scriveva ai
Corinzi poteva essere inteso in un modo dai "pargoli" e in un altro
dai più maturi, dice: Se qualcuno crede di essere profeta o spirituale,
riconosca che ciò che vi scrivo è comando del Signore; se poi vuole ignorarlo,
sarà ignorato (1 Cor 14, 37-38). Egli voleva che la scienza degli
spirituali fosse solida; che, raggiunta la fede, aspirassero ad una conoscenza
sicura, di modo che alla fede comune aggiungessero un approfondimento
personale. E così mentre i "pargoli" possedevano la fede, gli
spirituali avevano in più una comprensione approfondita. Ma dice che colui
che ignora sarà ignorato, in quanto non ha ancora ricevuto una
rivelazione sufficiente per conoscere quello che crede. Quando la rivelazione
si compie nella mente di un uomo, vuol dire che egli è conosciuto da Dio,
perché Dio lo rende capace di conoscere, come altrove dice lo stesso
Paolo: Ora che avete conosciuto Dio, o meglio siete conosciuti da Dio (Gal
4, 9). Non che Dio abbia conosciuto solo allora quelli che conobbe ed elesse
prima della creazione del mondo (cf. Ef 1, 4), ma allora li rese capaci di conoscerlo.
3. Tenendo ben presente
questo fatto, che cioè gli spirituali e i carnali intendono diversamente le
stesse verità che insieme ascoltano, ciascuno secondo la propria capacità:
questi come pargoli, quelli come adulti, questi come bevendo latte, quelli come
nutrendosi di cibo solido, non si vede la necessità di tacere taluni segreti
della dottrina, tenendoli nascosti ai fedeli ancora infanti per rivelarli a
parte agli adulti, cioè ai più capaci d'intendere. Né si deve ritenere doveroso
far questo per il fatto che l'Apostolo dice: Non ho potuto parlarvi
come a degli spirituali, ma come a persone carnali. Quello stesso
infatti che solo egli riteneva di sapere in mezzo a loro, e cioè Gesù Cristo
crocifisso (cf. 1 Cor 2, 2), egli afferma di non poterlo annunciare a loro come
a degli spirituali, ma come a persone carnali, in quanto essendo carnali non
potevano intendere quella verità come l'avrebbero intesa se fossero stati
spirituali. Quanti invece tra essi erano già spirituali, ascoltando la medesima
verità che ascoltavano le persone carnali, la penetravano con intelligenza
spirituale. E' questo il senso delle parole dell'Apostolo: Non ho
potuto parlarvi come a degli spirituali, ma come a persone carnali, come
a dire: voi non avete potuto intendere quanto vi ho detto come possono
intenderlo gli spirituali, ma soltanto come possono intenderlo gli uomini
carnali. Infatti l'uomo animale - cioè colui che è saggio solo
umanamente e che vien chiamato animale a motivo dell'anima e carnale a motivo
della carne, in quanto l'uomo intero è composto di anima e di corpo - non
comprende le cose dello Spirito di Dio (1 Cor 2, 14), cioè che la
croce di Cristo è sorgente di grazia per i credenti, e pensa che tutto lo scopo
della croce sia stato quello di offrire a noi, che dobbiamo lottare per la
verità fino alla morte, un esempio da imitare. Infatti, se questi uomini, che
si accontentano di essere uomini, sapessero che Cristo crocifisso per
volere di Dio, è diventato per noi sapienza, giustizia, santificazione e
redenzione, affinché, come è scritto, chi si vanta si vanti nel Signore (1
Cor 1, 30-31), essi certamente non riporrebbero la gloria in un uomo, e non
direbbero con mentalità carnale: Io sono di Paolo, io di Apollo, io
invece di Cefa, ma, da veri spirituali, direbbero: Io sono di
Cristo (1 Cor 1, 12).
4. La difficoltà rimane a
motivo di ciò che si legge nella lettera agli Ebrei: Mentre dovreste
essere maestri a motivo del tempo, avete di nuovo bisogno che qualcuno vi
insegni i primi rudimenti degli oracoli di Dio e siete diventati bisognosi di
latte e non di cibo solido. E chi si nutre di latte non ha esperienza della
dottrina di giustizia, essendo ancora un bambino; il cibo solido invece è dei
perfetti, di quelli che hanno le facoltà esercitate a discernere il buono dal
cattivo (Eb 5, 12-14). Abbiamo qui la definizione del cibo solido dei
perfetti, che è quello stesso di cui parla la lettera ai Corinzi: Annunciamo
la sapienza tra i perfetti (1 Cor 2, 6). E quali siano questi perfetti
egli spiega a sufficienza aggiungendo: coloro che hanno le facoltà
esercitate a discernere il buono dal cattivo. E' questo che sono
incapaci di fare le menti deboli e non esercitate, se non siano sostentate con
il latte della fede che consente loro di credere alle cose invisibili che non
vedono e alle intelligibili che ancora non intendono. Per cui facilmente vanno
dietro alle favole vuote e sacrileghe presentate con la promessa della scienza,
di modo che non riescono a pensare il bene e il male se non attraverso
rappresentazioni corporee, e Dio stesso se lo rappresentano come qualcosa di
corporeo; non riescono a concepire il male se non come una sostanza mentre non
è che una defezione delle sostanze mutabili dalla sostanza immutabile, quella
sostanza immutabile e somma che è Dio, il quale le creò dal niente. Colui che
non soltanto crede a questo, ma altresì con le facoltà esercitate dello spirito
lo intende, lo chiarisce e lo conosce, non dovrà più temere di venir sedotto da
coloro che, ritenendo il male una sostanza indipendente da Dio, considerano Dio
stesso una sostanza mutevole, come fanno i manichei e altre sette altrettanto
pestifere quanto insipienti.
5. Quanto a coloro che
hanno ancora una mentalità infantile e che, come dice l'Apostolo, hanno ancora
bisogno di latte, tutto questo discorso che si fa perché non ci si limiti a
credere ma si arrivi anche ad intendere e a rendersi conto di ciò che vien
detto, tutto questo discorso anziché nutrire, molto facilmente appesantisce e
annoia chi non arriva a cogliere queste cose. Di qui la necessità che gli
spirituali non tacciano del tutto queste cose alle persone carnali, poiché la
fede cattolica deve essere predicata a tutti senza distinzioni. Solo che
dovranno presentarla in modo tale che, mentre si propongono di farsi intendere
da chi è meno preparato, anziché far scoprire la verità attraverso il loro
discorso, non abbiano a rendere noioso il discorso sulla verità. Per questo
l'Apostolo, scrivendo ai Colossesi, dice: Anche se sono assente col
corpo, con lo spirito sono in mezzo a voi, rallegrandomi nel vedere la vostra
disciplina, e ciò che manca alla vostra fede in Cristo (Col 2, 5). E
ai Tessalonicesi: Supplichiamo Dio insistentemente per poter rivedere
la vostra faccia e completare così ciò che manca alla vostra fede (1
Thess 3, 10). Si deve dunque supporre che essi in un primo tempo fossero stati
catechizzati come attraverso un alimento di latte e non di cibo solido. Di
questo latte ricorda la preziosità scrivendo agli Ebrei che egli desiderava
nutrire ormai con alimenti più sostanziosi: Perciò, lasciando
l'insegnamento elementare su Cristo, passiamo a ciò che è perfetto, senza
gettare di nuovo il fondamento della conversione dalle opere morte e della fede
in Dio, della dottrina del battesimo, della imposizione delle mani, della
risurrezione dei morti e del giudizio eterno (Eb 6, 1-2). Ecco
l'insostituibile funzione del latte, senza del quale non possono vivere quanti
si servono della ragione per poter credere. Ma solamente con la fede, senza
l'aiuto dell'intelligenza, che esige un più solido nutrimento, non
arriverebbero mai a discernere il bene dal male. La dottrina elementare che
egli considera latte, è quella che viene trasmessa mediante il Simbolo e
l'Orazione del Signore.
[Latte e cibo
solido.]
6. Ma non si deve pensare
che sia in contrasto con questo latte il cibo delle cose spirituali che
richiede una intelligenza più matura, cibo che mancava e occorreva
somministrare ai Colossesi e ai Tessalonicesi. Quando si completa una cosa, non
si condanna quanto c'è già. Negli stessi alimenti che prendiamo, il cibo solido
è così poco contrario al latte, che esso dev'essere convertito in latte per
adattarlo agli infanti, ai quali arriva attraverso la carne della madre o della
nutrice. E come una madre si comportò la Sapienza, che, essendo solido nutrimento
degli angeli in cielo, si degnò convertirsi come in latte, quando il Verbo si è
fatto carne e abitò fra noi (cf. Gv 1, 1-14). E' la stessa umanità di Cristo,
che, nella verità della sua carne, della sua croce, della sua morte e
risurrezione, è latte genuino dei pargoli, è nello stesso tempo, per chi lo
scopre mediante l'intelligenza spirituale, il Signore degli angeli. Ecco perché
non si devono nutrire i pargoli col latte da impedire loro di arrivare ad
intendere Cristo come Dio; ma neppure si devono svezzare al punto da staccarli
da Cristo come uomo. In altre parole: essi non debbono essere allattati in tal
modo da non riuscire mai ad intendere Cristo come creatore; ma neppure debbono
essere svezzati fino al punto di staccarsi da Cristo come mediatore. Qui non
serve più l'immagine del latte materno e del cibo solido, ma bisogna riferirsi
piuttosto a quella del fondamento dell'edificio. Infatti, quando il bambino
viene svezzato, una volta che si è staccato dagli alimenti dell'infanzia e ha
cominciato a nutrirsi di cibo più solido, non cerca più il seno della madre
come faceva prima; mentre Cristo crocifisso è ad un tempo latte dei pargoli e
cibo solido per quanti sono cresciuti. Perciò è più adatta l'immagine del
fondamento, in quanto per portare a compimento una costruzione si aggiunge
l'edificio, ma senza togliere il fondamento.
7. Stando così le cose, o
voi, chiunque siate (e certamente molti di voi sono ancora pargoli in Cristo),
crescete in modo da essere sempre più capaci di nutrirvi con cibo solido, non
materialmente ma spiritualmente. Cercate di crescere per saper discernere il
bene dal male, e sempre più attaccatevi al Mediatore che potrà liberarvi dal
male, non con una separazione nello spazio, ma con una guarigione interiore. Se
uno verrà a dirvi: Non state a credere che Cristo è vero uomo; che il corpo di
qualsiasi uomo o animale è stato creato dal vero Dio; che l'Antico Testamento
viene dal vero Dio: se uno vi dirà cose simili, magari aggiungendo che nessuno
prima ve le aveva dette perché voi dovevate ancora essere nutriti col latte e
non avevate ancora il cuore capace di comprendere queste verità, costui non vi
offrirà cibo solido ma veleno. E' per questa ragione che il beato Apostolo,
rivolgendosi a coloro che credevano di essere perfetti, mentre egli riconosceva
di essere ancora imperfetto, dice: Quanti siamo perfetti, guardiamo di
avere tali sentimenti; che se poi in qualche cosa avete diversi sentimenti,
anche su questo Iddio vi illuminerà (Fil 3, 15). E perché non
incappassero nei seduttori, che avrebbero tentato di allontanarli dalla fede
promettendo loro la conoscenza della verità (credendo di trovare una conferma
in quelle parole: anche su questo Iddio vi illuminerà), immediatamente
l'Apostolo soggiunge: Intanto, a qualunque punto siamo giunti,
perseveriamo sulla stessa linea (Fil 3, 16). Se quindi tu hai compreso
qualcosa che non sia contrario alla regola della fede cattolica, e alla quale
sei giunto seguendo la via che deve condurti alla patria, e hai maturato delle
convinzioni sicure, porta avanti l'edificio, ma senza staccarti dal fondamento.
E' così che i fedeli maturi devono insegnare ai pargoli, evitando in tutti i
modi di far nascere il sospetto che Cristo Signore di tutte le cose, e quelli
che sono di gran lunga superiori a loro, cioè i Profeti e gli Apostoli, abbiano
in qualche modo mentito. E non solamente dovete guardarvi dai vaniloqui e da
coloro che corrompono le anime spacciando favole e menzogne, e promettono una
scienza sublime contraria però alle norme della fede cattolica che avete
ricevuto, ma dovete anche guardarvi da quanti discutono con esattezza
sull'immutabilità stessa della natura divina, sulle creature spirituali, sul
Creatore; di più, dimostrano quanto affermano con argomenti e testimonianze del
tutto sicure; e tuttavia si sforzano di allontanare dall'unico mediatore tra
Dio e gli uomini. Fuggite costoro come una peste delle più insidiose. E' di
costoro infatti che parla l'Apostolo, quando dice: Avendo conosciuto
Dio, non lo glorificarono come Dio (Rm 1, 21). A che serve infatti
avere un'esatta conoscenza del bene immutabile, se non si rimane uniti a colui
che può liberare dal male? Rimanga ben scolpito nel vostro cuore il monito del
beatissimo Apostolo: Se qualcuno vi annuncia un Vangelo diverso da
quello che riceveste, sia anatema! (Gal 1, 9). Non dice l'Apostolo: un
Vangelo più completo, ma diverso da quello che riceveste. Se
avesse detto: più completo, si sarebbe contraddetto, in quanto egli stesso si
riprometteva di recarsi presso i Tessalonicesi per completare ciò che mancava
alla loro fede. Chi completa una cosa, infatti, supplisce ciò che manca, non
toglie quello che c'è già; chi invece non rispetta la norma della fede, non
avanza sulla via, ma si allontana da essa.
8. Dunque l'affermazione
del Signore: Ho ancora molte cose da dirvi, ma adesso non siete in
condizione di portarle (Gv 16, 12), significa che essi avrebbero
dovuto apprendere altre cose che ancora non conoscevano, e non eliminare quelle
che già avevano appreso. Il Signore, come già ho spiegato nel discorso
precedente, si esprime in questo modo perché se avesse voluto rivelare ai
discepoli quanto andava loro insegnando usando il linguaggio adatto agli
angeli, essi non avrebbero potuto intendere, data la debolezza umana in cui si
trovavano. Uno spirituale qualunque può insegnare ad un altro uomo quello che
egli sa, se è lo Spirito Santo a rendere quell'uomo sempre più capace di
apprendere, quello Spirito da cui lo stesso dottore ha potuto apprendere quel
che sa: e così il dottore e il discepolo saranno ambedue ammaestrati da Dio
(cf. Gv 6, 45). Tra gli stessi spirituali, ve ne sono tuttavia alcuni migliori
e più capaci, al punto che uno è arrivato a udire ciò che non è consentito a
nessuno di esprimere. A proposito, alcuni dissennati, stolti e presuntuosi,
hanno inventato una Apocalisse di Paolo, piena di non so quali favole, che la
Chiesa nella sua saggezza rifiuta. Essi sostengono che a questa Apocalisse si
riferisce l'Apostolo quando racconta di essere stato rapito al terzo cielo,
dove udì quelle parole ineffabili, che non è lecito ad alcuno di
proferire (2 Cor 12, 2-4). Sarebbe ancora tollerabile la loro audacia,
se Paolo avesse detto di aver udito parole che ancora non è lecito ad alcuno di
proferire; ma avendo detto: che non è lecito ad alcuno di proferire, chi
sono costoro che con tanta impudenza e altrettanta inopportunità osano
proferirle? Con ciò pongo fine al discorso, augurandovi di essere sapienti nel
bene e immuni dal male.
Lo Spirito Santo dice ciò che ascolta.
Lo Spirito ascolta
da colui dal quale procede: sempre ascolta e sempre sa, e il suo sapere si
identifica col suo essere.
1. Perché il Signore,
promettendo la venuta dello Spirito Santo, che insegnerà ai discepoli tutta la
verità, o che li guiderà verso la verità tutta intera, dice che egli
non parlerà da sé, ma dirà tutto quello che avrà udito (Gv 16, 13)? E'
un'espressione che richiama quanto il Signore aveva detto di se stesso: Da
me io non posso far nulla; giudico secondo che ascolto (Gv 5, 30).
Quando spiegammo queste parole, dicemmo che si potevano riferire a lui come
uomo; in quanto il Figlio preannunciò la sua obbedienza che lo portò fino alla
morte di croce (cf. Fil 2, 8) e il futuro giudizio con cui giudicherà i vivi e
i morti; giudizio che gli compete appunto perché Figlio dell'uomo. Perciò aveva
anche detto: Il Padre non giudica nessuno, ma ha rimesso al Figlio ogni
giudizio (Gv 5, 22), perché nel giudizio egli comparirà non nella
forma di Dio nella quale è uguale al Padre e che non può essere vista dagli
empi, ma nella forma di uomo, che lo rese alquanto inferiore agli angeli. E' in
questa forma di uomo che, non più nell'umiltà di prima ma ormai nello splendore
della gloria, egli apparirà sia ai buoni che ai cattivi. Ed è per questo che
aggiunge: A lui ha dato il potere di giudicare, perché è Figlio
dell'uomo (Gv 5, 27). Da queste sue parole appare chiaramente che non
si presenterà al giudizio con quella forma conservando la quale non considerò
usurpazione l'essere pari a Dio, ma con quella che prese quando annientò se
stesso. Annientò se stesso, infatti, prendendo la forma di servo (cf. Fil 2,
6-7); e sembra voglia riferirsi a questo stato di obbedienza in cui si
presenterà per il giudizio, quando dice: Da me io non posso far nulla;
giudico secondo che ascolto. Adamo, per la cui disobbedienza la
moltitudine fu costituita peccatrice, non giudicò secondo che ascoltava; al
contrario disobbedì a ciò che aveva ascoltato, e da se stesso fece il male che
fece; perché fece, non la volontà di Dio, ma la sua. Cristo, invece, per la cui
obbedienza la moltitudine viene costituita giusta (cf. Rm 5, 19), non solo fu
obbediente fino alla morte di croce, alla quale, egli vivo, fu condannato dai
morti, ma promette che sarà obbediente perfino nel giudizio in cui giudicherà i
vivi e i morti. Da me io non posso far nulla - dice - giudico
secondo che ascolto. Ma oseremo pensare che anche lo Spirito Santo, il
quale, come dice il Signore, non parlerà per conto suo, ma dirà quanto
ascolta, si presenti anch'egli in forma umana o assuma una qualche natura
creata? Nella Trinità solamente il Figlio prese forma di servo, unendola a sé
nell'unità della persona; per cui, essendo il Figlio di Dio e il Figlio
dell'uomo un solo Cristo Gesù, assolutamente non si può parlare di quaternità
ma di Trinità. In virtù di quest'unica persona in cui confluiscono le due
nature, la divina e l'umana, talvolta egli parla in quanto Dio, come quando
dice: Io e il Padre siamo una cosa sola (Gv 10, 30), tal'altra
in quanto uomo, come quando dice: Il Padre è più grande di me (Gv
14, 28). E' secondo questa forma che va interpretata la frase che sto
spiegando: Da me io non posso far nulla; giudico secondo che
ascolto. Ma non è piccola difficoltà quella che si presenta riguardo
alla persona dello Spirito Santo, quando il Signore dice: Egli non
parlerà per conto suo, ma dirà quanto ascolta, non essendo in lui la
natura divina e quella umana, o quella di un'altra creatura.
[Una grossa
difficoltà.]
2. E' vero che lo Spirito
Santo apparve in forma di colomba (Mt 3, 16), ma fu un'apparizione momentanea e
transitoria; così quando discese sopra i discepoli si videro delle lingue come
di fuoco dividersi e posarsi su ciascuno di loro (cf. At 2, 3). Chi dicesse che
la colomba è stata assunta nell'unità di persona dallo Spirito, e che quindi la
persona dello Spirito Santo constava della natura di Dio (poiché lo Spirito
Santo è Dio) e della natura della colomba, sarebbe costretto a dire altrettanto
del fuoco, e così si renderebbe conto che è insostenibile l'una e l'altra cosa.
Queste forme, che temporaneamente apparvero ai sensi corporali degli uomini per
dare ad essi qualche segno della sostanza divina, opportunamente e per breve
tempo furono prese da Dio, che si serviva delle creature senza esservi
costretto dalla sua natura, la quale, stabile in se stessa, muove ciò che
vuole, e, immutabile, muta ciò che vuole. Così anche quanto alla voce che uscì
dalla nube (cf. Lc 9, 35) e colpì le orecchie del corpo e fu percepita da quel
senso del corpo che si chiama udito: in nessun modo si deve credere che il Verbo
di Dio, cioè il suo Figlio unigenito, per il fatto che si chiama Verbo possa
essere espresso mediante sillabe e suoni; anche perché i suoni, quando si
pronuncia la parola, non possono essere simultanei, ma, come se nascessero e
morissero, cessando un suono ordinatamente succede l'altro, sì che la parola è
completa solo quando abbiamo articolato l'ultima sillaba. Non è certo così che
il Padre parla al Figlio, cioè Dio al suo Verbo, che è Dio egli stesso. Ma
questo può essere capito, ammesso che sia concesso all'uomo di capirlo, solo da
chi può nutrirsi, non più di latte, ma già di cibi solidi. Non essendosi dunque
lo Spirito Santo fatto uomo per l'assunzione della natura umana, né angelo per
l'assunzione della natura angelica, né altra creatura per l'assunzione di altra
natura creata, come si deve intendere la frase del Signore: Egli non
parlerà da sé, ma dirà tutto quello che avrà udito? Questione
difficile, molto difficile. Che lo stesso Spirito ci assista e ci conceda di
esprimere e di comunicare alla vostra intelligenza almeno quello che, secondo
le nostre deboli forze, siamo riusciti a pensare per conto nostro.
3. Anzitutto dovete sapere
e comprendere, se ne siete capaci, o almeno crederlo, se ancora non ne siete
capaci, che in quella sostanza, che è Dio, non vi sono sensi localizzati nella
superficie del corpo, così come nel corpo di qualsiasi animale in un luogo è
l'udito, in un altro la vista, il gusto, l'olfatto, e, diffuso in tutto il
corpo, il tatto. Non è certo così nella natura incorporea ed immutabile di Dio.
In essa udire e vedere sono la medesima cosa. A Dio si attribuisce anche
l'olfatto, secondo quanto dice l'Apostolo: Cristo ci ha amati e ha dato
se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave profumo (Ef
5, 2). E si può pensare che Dio possiede anche il gusto, in quanto prova
disgusto per quelli che lo provocano, e vomita dalla sua bocca quanti non sono
né caldi né freddi, ma tiepidi (cf. Ap 3, 16). E Cristo Dio dice: Il
mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato (Gv 4, 34).
Esiste anche un tatto divino, per cui la sposa parlando dello sposo dice: La
sua sinistra è sotto il mio capo, e con la destra mi abbraccia (Ct 2,
6). Non esistono in Dio sensi localizzati nelle diverse parti del corpo. Quando
si dice che egli sa, questo comprende tutto, la vista, l'udito, l'odorato, il
gusto, il tatto senza alcuna alterazione di sostanza, senza parti maggiori e
minori. Una tale idea di Dio sarebbe infantile, anche se fosse un adulto ad
averla.
[La sostanza
divina è ciò che ha.]
4. Nessuna meraviglia che
alla scienza ineffabile di Dio che tutto conosce, vengano applicati i nomi di
tutti questi sensi corporali, secondo le diverse espressioni del linguaggio
umano; lo stesso nostro spirito, cioè l'uomo interiore, - al quale, senza che
la uniformità del suo conoscere venga compromessa, giungono i diversi messaggi
attraverso i cinque sensi del corpo, - quando intende, sceglie e ama la verità
immutabile, vede quella luce a proposito della quale l'evangelista dice: Era
la luce vera; e ascolta la Parola di cui l'evangelista dice: In
principio era il Verbo (Gv 1, 9 1); e aspira il profumo di cui vien
detto: Correremo dietro l'odore dei tuoi profumi (Ct 1, 3); e
gusta la fonte di cui si dice: Presso di te è la fonte della vita (Sal
35, 10); e gode al tatto di cui vien detto: Per me il mio bene è lo
starmene vicino a Dio (Sal 72, 28). E così non si tratta di un senso o
di un altro ma è una medesima intelligenza che prende nome dai vari sensi.
Ordunque a maggior ragione, quando dello Spirito Santo si afferma che non
parlerà da sé, ma dirà tutto quello che ha udito, dobbiamo comprendere o
almeno credere che tali parole si riferiscono ad una natura semplice nel senso
più preciso, essendo infinitamente superiore alla natura della nostra mente. La
nostra mente evidentemente è mutevole, in quanto imparando assimila ciò che non
sapeva, e dimenticando perde ciò che sapeva; si lascia ingannare
dall'apparenza, scambiando il vero col falso, ostacolata da questa sua oscurità
che, come tenebra, le impedisce di pervenire alla verità. E perciò la sostanza
della nostra anima non è propriamente semplice, in quanto per lei l'essere non
coincide col conoscere, potendo essere e non conoscere. Mentre non è così della
sostanza divina, la quale è ciò che ha, e possiede la scienza in modo tale che
ciò che essa sa non si distingue da ciò che è: ambedue le cose, l'essere e il
sapere sono, nella sostanza divina, la stessa cosa. Anzi, neppure possiamo
parlare di due cose, dove non ce n'è che una. Come il Padre ha la vita
in se stesso - ma lui stesso non è distinto dalla vita che ha in sé
-, così ha dato anche al Figlio di avere la vita in se stesso (Gv
5, 26), cioè ha generato il Figlio che è egli stesso vita. E' così che dobbiamo
intendere quanto il Signore dice dello Spirito Santo, e cioè: Non
parlerà da se stesso, ma dirà tutto quello che avrà udito: nel senso
cioè che lo Spirito Santo non è da se stesso. Solo il Padre non è da altri. Il
Figlio è nato dal Padre, e lo Spirito Santo procede dal Padre; ma il Padre non
è nato né procede da alcuno. Però non venga in mente a nessuno che esista
nell'augusta Trinità qualche disuguaglianza tra le persone! infatti il Figlio è
uguale al Padre da cui è nato, come lo Spirito è uguale al Padre da cui
procede. Che differenza, poi, ci sia tra nascere e procedere, sarebbe lungo qui
ricercare ed esporre; sarebbe anzi temerario volere, attraverso l'indagine,
definire questa differenza. E' difficile che la mente possa in qualche modo
comprenderla, e ancorché la mente riuscisse a farsene un'idea, ben difficilmente
saprebbe tradurla in parole, chiunque sia il maestro che parla, chiunque sia il
discepolo che ascolta. Lo Spirito dunque non parlerà da se
stesso, perché non è da se stesso; ma dirà quanto
ascolta, cioè quanto ascolta da colui dal quale procede. Ascoltare per
lui è conoscere; e il conoscere s'identifica con l'essere, come abbiamo
spiegato prima. Ora, siccome non è da se stesso ma da colui dal quale procede,
deve anche la sua scienza a colui dal quale riceve l'essenza; e il suo
ascoltare non è altro se non la sua scienza.
[Lo Spirito sempre
in ascolto.]
5. Non deve meravigliare
l'uso del futuro. Non dice infatti il Signore: Quanto ha ascoltato, o quanto
ascolta; dice: quanto ascolterà, dirà. Questo ascoltare dello
Spirito è eterno, perché eterna è la sua scienza. Ora quando ci si riferisce a
ciò che è eterno, senza inizio e senza fine, qualsiasi tempo si usi, presente,
passato o futuro, non si sbaglia. Certo, in questa natura immutabile e
ineffabile non vi è né un "fu" né un "sarà", ma soltanto
l'"è": infatti essa sola "è" veramente, perché non può
mutare; perciò ad essa sola conveniva esprimersi così: Io sono colui
che sono; e: dirai ai figli d'Israele: Colui che è mi ha
mandato a voi (Es 3, 14). Tuttavia, a causa del mutar dei tempi cui è
soggetta la nostra instabile e mortale natura, non commettiamo alcun errore
quando affermiamo che fu, che sarà e che è. Fu nei tempi passati, è al
presente, sarà in futuro: fu, perché non mancò mai di essere, sarà, perché mai
verrà meno, è, perché sempre esiste. Essa non è tramontata con le cose passate,
come chi non è più; non scorre con le cose presenti, come chi non rimane; né
sorgerà con le future, come chi ancora non è. Perciò, variando il modo di
esprimersi a seconda del volgere dei tempi, qualunque tempo si usi, saranno
sempre vere le parole riferite a colui che in nessun tempo ha potuto, può o
potrà venir meno. Lo Spirito Santo da sempre ascolta, perché da sempre sa;
quindi sapeva, sa e saprà, e perciò ha ascoltato, ascolta e ascolterà. Per lui
infatti, come già abbiamo detto, ascoltare è sapere, come sapere è essere. Egli
ha ascoltato, ascolta e ascolterà da colui dal quale è: è da colui dal quale
procede.
6. Qui forse qualcuno si
domanderà se lo Spirito Santo procede anche dal Figlio. Il Figlio infatti è Figlio
solo del Padre, e il Padre è Padre solo del Figlio. Lo Spirito Santo, invece,
non è lo Spirito soltanto di uno di essi, ma di entrambi. Ecco il Signore
stesso che dice: Non siete voi che parlate, ma lo Spirito del Padre
vostro che parla in voi (Mt 10, 20); e l'Apostolo: Iddio ha
mandato lo Spirito del suo Figlio nei vostri cuori (Gal 4, 6).
Esistono forse due Spiriti, uno del Padre e uno del Figlio? No di certo.
Siamo un solo corpo - dice ancora l'Apostolo riferendosi alla
Chiesa -, e un solo Spirito - aggiunge subito dopo. Ed ecco
che completa la Trinità -: così come siete stati chiamati a una sola
speranza. Un solo Signore, - qui l'Apostolo certamente intende Cristo.
Non rimane che il Padre, e perciò egli continua - una sola fede, un
solo battesimo; un solo Dio Padre di tutti, che è sopra tutti noi, per tutti e
in tutti (Ef 4, 4-6). Dato che vi è un solo Padre e un solo Signore,
cioè il Figlio, e che uno solo è lo Spirito, esso non può essere che di
ambedue, come attesta Gesù Cristo stesso dicendo: è lo Spirito del
Padre che parla in voi, e come conferma l'Apostolo dicendo: Iddio
ha mandato lo Spirito del suo Figlio nei nostri cuori. C'è anche un altro
testo del medesimo Apostolo che dice: Se lo Spirito di colui che
risuscitò Gesù dai morti abita in voi (Rm 8, 11). Qui certamente vuole
intendere lo Spirito del Padre, del quale tuttavia prima aveva detto: Se
qualcuno non possiede lo Spirito di Cristo, questi non è suo (Rm 8,
9). E ci sono molti altri testi, dai quali chiaramente risulta che quello che
in seno alla Trinità viene chiamato Spirito Santo, è lo Spirito del Padre e del
Figlio.
7. Non c'è altro motivo,
credo, per cui esso debba essere chiamato Spirito in senso proprio; anche se,
quando vogliamo definire le altre due persone della Trinità, non possiamo non
affermare di ciascuna di esse, cioè del Padre e del Figlio, che sono spirito,
poiché Dio è spirito (cf. Gv 4, 24), in quanto appunto non è corpo ma spirito.
Il nome dunque che diamo ugualmente alle singole persone della Trinità, più
propriamente si dà alla terza persona, che non s'identifica con le altre due,
ma che costituisce il vincolo di comunione dell'una e dell'altra. Perché allora
troviamo difficoltà a credere che lo Spirito Santo procede anche dal Figlio,
dal momento che è lo Spirito anche del Figlio? Se infatti non procedesse anche
dal Figlio, Cristo non avrebbe potuto, dopo la risurrezione, presentarsi ai
suoi discepoli e alitare su di loro dicendo: Ricevete lo Spirito Santo (Gv
20, 22). Che altro significa infatti questo gesto, se non che lo Spirito Santo
procede anche da lui? Il medesimo significato ha la frase che dice alla donna
che soffriva di un flusso di sangue: Qualcuno mi ha toccato; ho sentito
che una forza è uscita da me (Lc 8, 46). Che col termine
"forza" venga indicato anche lo Spirito Santo, risulta chiaro anche
dalle parole dell'angelo a Maria. Alla domanda di lei: Come avverrà
questo, poiché non conosco uomo? l'angelo risponde: Lo Spirito
Santo scenderà su di te e la forza dell'Altissimo ti adombrerà (Lc 1,
34-35). E il Signore stesso, promettendo lo Spirito Santo ai discepoli,
dice: Voi rimanete in città, finché non siate investiti di forza
dall'alto (Lc 24, 39), e ancora: Riceverete la forza dello
Spirito Santo che scenderà in voi, e sarete miei testimoni (At 1, 8).
E' da credere che l'evangelista si riferisce a questa forza quando dice: da
lui usciva una forza che guariva tutti (Lc 6, 19).
8. Se lo Spirito Santo,
dunque, procede dal Padre e dal Figlio, perché il Figlio dice: procede
dal Padre (Gv 15, 26)? Per quale motivo, credete voi, se non perché
egli è solito riferire al Padre ciò che è anche suo, in quanto egli stesso è
dal Padre? Di qui l'affermazione: La mia dottrina non è mia, ma di
colui che mi ha mandato (Gv 7, 16). Se qui dobbiamo ritenere anche sua
la dottrina che egli dice non essere sua ma del Padre, a maggior ragione si
deve ritenere che lo Spirito Santo procede anche da lui, sebbene lui abbia
detto: procede dal Padre, ma senza però aggiungere: e non
procede da me. Il Padre dal quale il Figlio riceve il suo essere Dio (poiché
egli è Dio da Dio), fa sì che anche da lui proceda lo Spirito Santo; lo Spirito
Santo, a sua volta, ottiene dal Padre di procedere anche dal Figlio così come
procede dal Padre.
9. Qui si comprende in
qualche modo, quanto è a noi possibile, per qual motivo non si dice che lo
Spirito Santo è nato, ma che procede. Infatti se anche lo Spirito Santo venisse
chiamato Figlio, si dovrebbe dire che esso è Figlio di entrambi, il che sarebbe
evidentemente assurdo: nessuno può essere figlio di due, che non siano il padre
e la madre. Lungi da noi immaginare qualcosa di simile tra Dio Padre e Dio
Figlio. E neppure, del resto, tra gli uomini un figlio procede simultaneamente
dal padre e dalla madre; ma, quando, nella concezione, dal padre passa alla
madre, allora non procede dalla madre, e quando dalla madre viene dato alla
luce, allora non procede dal padre. Lo Spirito Santo, invece, non procede dal
Padre nel Figlio e poi dal Figlio non procede a santificare le creature, ma
procede simultaneamente da entrambi, sebbene sia stato il Padre a dire al
Figlio di far procedere da se stesso lo Spirito Santo così come procede dal
Padre. Non possiamo perciò fare a meno di riconoscere che lo Spirito Santo è
vita, essendo vita il Padre e vita il Figlio. Come dunque il Padre, che ha la
vita in se stesso, ha dato al Figlio di avere anche lui la vita in se stesso,
così gli ha dato di far procedere la vita da sé, allo stesso modo che la vita
procede dal Padre. Il Signore prosegue dicendo: Egli vi annunzierà le
cose da venire. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio per
comunicarvelo. Tutto ciò che ha il Padre è mio; ecco perché vi ho detto che
prenderà del mio per comunicarvelo (Gv 16, 13-15). Ma siccome ci siamo
già dilungati abbastanza, riprenderemo l'argomento in un altro discorso.
Lo Spirito Santo glorifica il Cristo.
E' soltanto nella
Chiesa cattolica che lo Spirito Santo glorifica veramente il Cristo.
1. Promettendo che verrà lo
Spirito Santo, il Signore dice: Egli vi insegnerà tutta la verità,
o, come si legge in altri codici: vi guiderà nella pienezza
della verità, perché non parlerà da sé, ma dirà quanto ascolterà. Su queste
parole del Vangelo, con l'aiuto del Signore, ci siamo soffermati abbastanza;
adesso prestate attenzione a quelle che seguono: e vi annunzierà le
cose da venire. Non è il caso di soffermarci qui, perché è chiaro; non
ci sono difficoltà che richiedano spiegazioni. Ma la frase che aggiunge: Egli
mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve lo annunzierà (Gv 16,
13-14), non si può trascurare. Egli mi glorificherà, può intendersi
nel senso che lo Spirito Santo, riversando la carità nel cuore dei fedeli e
facendoli diventare spirituali, avrebbe spiegato loro in qual modo il Figlio è
uguale al Padre, quel Figlio che sino allora avevano conosciuto soltanto
secondo la carne e che consideravano un uomo come loro. O si può intendere
anche nel senso che i discepoli, ricolmi di fiducia e superato ogni timore
grazie a quella medesima carità, annunziarono Cristo ovunque, e quindi la sua
gloria si è diffusa in tutto il mondo. Dicendo: Egli mi
glorificherà, è come se avesse detto: Egli vi libererà da ogni timore
e vi darà l'amore, grazie al quale, annunciandomi con tutto l'ardore,
espanderete per tutto il mondo l'odore della mia gloria e immortalerete il mio
onore. Ciò che essi avrebbero fatto in virtù dello Spirito Santo, disse che lo
avrebbe fatto lo Spirito Santo stesso, come risulta anche da quelle
parole: Non siete voi che parlate, ma è lo Spirito del Padre vostro che
parla in voi (Mt 10, 20). Gli interpreti latini hanno tradotto il
verbo greco
2. C'è anche una gloria
falsa, quando chi loda è tratto in inganno per quanto riguarda le cose, gli
uomini, o le cose e gli uomini insieme. Ci si inganna circa le cose, quando si
crede bene ciò che è male; circa gli uomini, quando si reputa buono uno che è
cattivo; circa gli uomini e le cose insieme, quando un vizio si considera
virtù, e si loda un uomo, che, buono o cattivo che sia, non ha ciò per cui si
loda. Donare i propri beni agli istrioni, non è virtù, ma vizio nefando; eppure
voi sapete come nei confronti di costoro corra la fama unita alla lode, come
sta scritto: Viene lodato il peccatore nelle sue brame, e chi commette
l'iniquità viene benedetto (Sal 9, 3). Qui i lodatori non si ingannano
quanto alle persone ma quanto alla realtà oggettiva; poiché ciò che essi
ritengono buono è cattivo. Quanti poi beneficiano di questa falsa generosità,
non sono quali li considerano, ma quali li vedono coloro che li lodano. E c'è
chi si finge giusto mentre non lo è, e tutto quanto compie di lodevole e di
apparentemente buono agli occhi degli uomini non lo fa per Iddio, cioè per la
vera giustizia, ma soltanto perché cerca e vuole la gloria degli uomini. Se
coloro, presso i quali egli gode questa fama ricevendone lode, credono che solo
per Iddio conduca una vita lodevole, non si ingannano sul fatto in sé, ma sulla
persona. Ciò che essi, infatti, ritengono bene, è bene, ma quell'uomo che
considerano buono non è buono. E se uno, ad esempio, è considerato buono per la
sua competenza nelle arti magiche e si crede che abbia liberato la patria per
mezzo di arti che egli assolutamente ignora, se quest'uomo ottiene presso i
perversi universale fama e lode, cioè la gloria, i suoi lodatori sbagliano in
ogni caso: circa la cosa in sé, perché considerano bene ciò che è male, e circa
l'uomo, perché lo credono ciò che non è. In questi tre casi, quindi, la gloria
è falsa. Invece, quando uno è giusto in Dio e per Iddio, cioè veramente giusto,
e la sua giustizia è il fondamento consistente della fama unita a lode, allora
la gloria è vera. Ma non si creda che questa gloria possa rendere felice il
giusto; c'è piuttosto da rallegrarsi per quelli che lo lodano, perché
dimostrano di saper giudicare rettamente e di amare la giustizia. Quanto più
dunque ha giovato la gloria di Cristo Signore, non a lui, ma a coloro ai quali
ha giovato la sua morte!
[E' necessaria
un'idea giusta di Cristo.]
3. Ma non è vera la gloria
di Cristo presso gli eretici, anche se presso di loro spesso egli sembra godere
fama con lode. Non è vera questa gloria, perché questi si ingannano in ambedue
i casi, e ritenendo buono ciò che buono non è, e credendo che Cristo sia ciò
che non è. Non è bene credere che il Figlio unigenito non sia uguale al Padre;
non è bene credere che il Figlio unigenito di Dio è soltanto uomo e non Dio;
non è bene credere che la carne della Verità non è vera carne. Alla prima di
queste tre categorie appartengono gli ariani, alla seconda i fotiniani, alla
terza i manichei. Siccome nessuna di queste tre asserzioni è buona, e Cristo
non è nessuna delle tre cose asserite, essi si ingannano in ogni caso, e non
danno a Cristo la vera gloria, benché sembri che presso di loro Cristo goda una
universale fama con lode. Decisamente tutti gli eretici, che sarebbe troppo
lungo elencare, che non hanno un'idea esatta di Cristo, sono nell'errore
appunto perché non giudicano il bene e il male secondo verità. Anche i pagani,
che pure in gran numero sono ammiratori di Cristo, sbagliano sotto entrambi gli
aspetti, perché, seguendo la loro opinione e non la verità di Dio, dicono che
Cristo fu mago. Disprezzano i cristiani come degli ignoranti, mentre esaltano
Cristo come un mago, mostrando così che cosa amano: certo non amano Cristo, perché
amano ciò che egli non era; di conseguenza si ingannano sotto entrambi gli
aspetti: perché è un male essere mago, e perché Cristo, essendo buono, non era
un mago. E siccome non è il caso adesso di parlare di tutti quelli che
disprezzano e bestemmiano Cristo, in quanto stiamo parlando della gloria con
cui egli è stato glorificato nel mondo; diremo che soltanto nella santa Chiesa
cattolica lo Spirito Santo lo ha glorificato di vera gloria. Altrove, sia
presso gli eretici che presso certi pagani, egli non può ottenere qui in terra
vera gloria, anche dove sembra diffusa la sua fama accompagnata da lode. Ecco
come il profeta canta la sua vera gloria nella Chiesa cattolica: Innálzati
sopra i cieli, o Dio, e su tutta la terra spandi la tua gloria (Sal
107, 6). E siccome lo Spirito Santo doveva venire dopo la sua esaltazione, e
glorificarlo, tanto il salmo sacro come l'Unigenito hanno annunciato ciò di cui
noi vediamo la realizzazione.
4. Con orecchie cattoliche
ascoltate e con intelligenza cattolica intendete queste parole: Egli
prenderà del mio per comunicarvelo. Infatti, lo Spirito Santo non è
inferiore al Figlio, come hanno pensato certi eretici; come se cioè il Figlio
ricevesse dal Padre e lo Spirito Santo dal Figlio secondo determinati gradi di
natura. Lungi dai cuori cristiani credere, affermare pensare una simile cosa.
Ma egli stesso risolve la difficoltà spiegando il significato della sua
affermazione: Tutto ciò che ha il Padre è mio; ecco perché vi ho detto
che prenderà del mio e ve lo comunicherà (Gv 16, 15). Che volete di
più? Lo Spirito Santo, quindi, riceve dal Padre da cui riceve il Figlio, perché
in seno alla Trinità il Figlio è nato dal Padre e lo Spirito Santo procede dal
Padre. Solamente il Padre non è nato e non procede da alcuno. In che senso
l'Unigenito ha detto: Tutto ciò che ha il Padre è mio? Non
certamente nel senso che hanno le parole che quel padre, nella parabola, dice
al figlio, non unico ma il maggiore dei due: Tu sei sempre con me, e
tutto ciò che è mio è tuo (Lc 15, 31). Vedremo comunque questo passo
con maggior impegno, se il Signore vorrà, quando dovremo commentare le parole
che l'Unigenito rivolge al Padre: tutto ciò che è mio è tuo e ciò che è
tuo è mio (Gv 17, 10). Chiudiamo così questo discorso, perché quel che
viene dopo esige un commento a parte.
La carità e la verità.
Lo Spirito Santo
guiderà i discepoli alla pienezza della verità riversando continuamente nei
loro cuori la carità.
1. In questo passo del santo Vangelo, dove il Signore dice ai suoi
discepoli: Molte cose ho ancora da dirvi, ma non sono per ora alla
vostra portata (Gv 16, 12), la prima cosa che bisogna domandarsi è
come mai prima abbia detto: Tutto ciò che ho udito dal Padre mio l'ho
fatto conoscere a voi (Gv 15, 15), e qui dica: Molte cose ho
ancora da dirvi, ma non sono per ora alla vostra portata. A suo tempo
abbiamo spiegato, come abbiamo potuto, in che senso abbia parlato di ciò che
ancora non aveva fatto come se già l'avesse fatto, allo stesso modo che il
profeta afferma che Dio ha fatto le cose che saranno, dicendo appunto di
lui: Ha fatto le cose a venire (Is 45, 11 sec LXX). Adesso
forse voi volete sapere quali siano le cose che allora non erano alla portata
degli Apostoli. Ma chi di noi oserà ritenersi in condizione di portare quelle
cose che essi non erano capaci di portare? Per questo motivo non dovete sperare
che io vi dica ciò che forse io stesso non capirei se mi venisse detto da un
altro, né voi sareste in condizione di portarlo, ammesso che io sia capace di
parlarvi di cose che superano la vostra capacità di intendere. E può darsi che
in mezzo a voi ci sia qualcuno già in grado di intendere queste cose che gli
altri ancora non sono capaci di intendere: non certo tutte le cose cui il
divino Maestro si riferiva dicendo: Ho ancora molte cose da dirvi, però
qualcuna sì. Ma sarebbe temerario e presuntuoso voler dire quali siano le cose
che il Signore stesso non volle dire. Una cosa è certa che allora gli Apostoli,
ai quali diceva: Adesso non potete seguirmi (Gv 13, 36), non
erano ancora in grado di morire per Cristo; e Pietro, il primo degli Apostoli,
che aveva presunto di esserne già capace, fece un'esperienza negativa e dovette
ricredersi. E tuttavia, in seguito, tanti uomini e donne, bambini e bambine,
ragazzi e ragazze, vecchi e giovani sono stati coronati dell'aureola del
martirio; e si è visto che le pecore erano capaci di affrontare ciò che, quando
così parlava il Signore, i pastori non erano capaci di sopportare. Si doveva
forse dire a quelle pecore, nel momento del pericolo, in cui era necessario lottare
fino alla morte per la verità e versare il sangue per il nome e la dottrina di
Cristo, si doveva dir loro: Chi di voi oserà ritenersi capace del martirio, di
cui non era stato capace Pietro, quando era sostenuto dalla viva voce del
Signore? Così qualcuno potrebbe sostenere che non bisogna dire al popolo
cristiano, ansioso di sapere, le cose a cui il Signore si riferisce con le
parole: Molte cose ho ancora da dirvi, ma non sono per ora alla vostra
portata, adducendo la ragione che se non erano in grado d'intenderle
gli Apostoli, sarebbero molto meno in grado di capirle loro. E invece, ci sono
molti che probabilmente sono in grado di ascoltare quanto allora Pietro non era
capace di comprendere, così come molti sono in grado di affrontare il martirio,
che Pietro invece non era ancora in grado di affrontare. Questo soprattutto
dopo la venuta dello Spirito Santo, che, quando il Signore così parlava, non
era stato ancora inviato, e a proposito del quale subito aggiunge: Quando,
però, verrà lui, lo Spirito di verità, v'insegnerà tutta intera la verità (Gv
16,13), dimostrando così che gli Apostoli non erano in grado di portare le cose
che egli aveva ancora da dire, perché non era ancora venuto ad essi lo Spirito
Santo.
2. Ecco, ammettiamo che
molti, dopo la venuta dello Spirito Santo, siano in grado di portare quelle
cose di cui ancora non erano capaci i discepoli prima della venuta dello
Spirito Santo: forse che per questo noi conosciamo le cose che il Signore non
volle dire, come le conosceremmo, leggendole o ascoltandole, se egli le avesse
pronunciate? Altro è infatti sapere se noi o voi possiamo portarle o no, e
altro è sapere quali siano tali verità, indipendentemente dal fatto che noi
possiamo portarle o no. Dal momento che il Signore non le ha dette, chi di noi
può dire se sono queste o quelle? E se qualcuno osasse dirlo, come potrà
dimostrarlo? Chi sarà così facilone e temerario che pur dicendo cose vere a chi
vuole, si senta di affermare, senza una particolare rivelazione, che proprio
quelle sono le cose che allora il Signore non volle dire? Chi di noi, non
essendo dotato di carisma profetico o apostolico, potrebbe fare una simile cosa
senza incorrere in colpa gravissima di temerarietà? Ancorché trovassimo
qualcuna di queste cose nei libri che godono autorità canonica, scritti dopo
l'ascensione del Signore, non sarebbe ancora sufficiente, almeno che non vi
troviamo anche la dichiarazione che tali cose sono proprio quelle che allora il
Signore non volle dire ai suoi discepoli in quanto essi non erano in condizione
di portarle. Prendiamo ad esempio, il prologo di questo Vangelo: In
principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio, questo
era in principio presso Dio (Gv 1, 1-2), e le altre cose che seguono;
esse sono state scritte dopo, e non si dichiara che le abbia dette il Signore
Gesù quando egli era in mezzo a noi nella condizione mortale, ma sono state
messe per iscritto da uno dei suoi discepoli sotto ispirazione dello Spirito
Santo; ebbene, se io affermassi che queste cose sono proprio quelle che allora
il Signore non volle dire perché i discepoli non erano in grado di capirle, chi
di voi, ascoltandomi, non mi riterrebbe temerario? Se invece dove le leggiamo
trovassimo scritto anche che sono proprio quelle, chi non vorrà credere a così
autorevole apostolo?
3. Mi sembra altrettanto
assurdo affermare che i discepoli non erano allora in grado di ricevere quelle
rivelazioni di cose invisibili e altissime che troviamo nelle lettere degli
Apostoli, scritte dopo la ascensione del Signore senza dichiarare che le disse
il Signore, quando si trovava visibilmente con loro. Perché gli Apostoli non
erano in condizione di ricevere quelle cose che adesso tutti possono leggere
nei loro libri, tutti possono accoglierle, anche se non le capiscono? Vi sono,
infatti, nella sacra Scrittura alcune cose che quanti non hanno fede, quando le
leggono o le ascoltano, non le comprendono, e, dopo averle lette o ascoltate,
non possono accettarle. I pagani, ad esempio, non riescono ad accettare che il
mondo è stato creato da uno che fu crocifisso; i Giudei non riescono ad
ammettere che chi ha abolito il sabato nel modo che lo celebrano loro, era
Figlio di Dio; i sabelliani non ammettono che la Trinità è distintamente il
Padre, il Figlio e lo Spirito Santo; gli ariani che il Figlio è uguale al
Padre, e lo Spirito Santo è uguale al Padre e al Figlio; i fotiniani non
accettano che Cristo non era soltanto un uomo come noi, ma era anche Dio,
uguale a Dio Padre; i manichei negano che Cristo, nostro liberatore, si sia
degnato di nascere nella carne e dalla carne; così tutti gli altri appartenenti
alle più diverse e perverse sette, non possono tollerare quanto si trova nelle
sacre Scritture e nella fede cattolica contrario ai loro errori, così come noi
non possiamo tollerare le loro sacrileghe invenzioni e le loro insane menzogne.
Che vuol dire infatti non poter tollerare una cosa? Vuol dire essere incapaci
di portarla con animo retto. Ma quale fedele, o anche quale catecumeno, che
pure non ha ancora ricevuto col battesimo lo Spirito Santo, anche se non riesce
ancora ad intenderle pienamente, non legge o ascolta di buon animo tutte quelle
cose che sono state scritte dopo l'ascensione del Signore con verità e autorità
canonica? Com'era dunque possibile che i discepoli, anche se ancora non avevano
ricevuto lo Spirito Santo, non fossero in condizione di portare qualcuna di
quelle cose che furono scritte dopo l'ascensione del Signore, se adesso i
catecumeni, prima ancora di ricevere lo Spirito Santo, le possono portare
tutte? Poiché, se ad essi non vengono consegnati i sacramenti dei fedeli, non è
perché non siano in grado di portarli, ma perché essi tanto più ardentemente li
desiderano quanto più grande è il mistero in cui sono avvolti.
[Progredire nella
carità.]
4. Sicché, o carissimi, non
aspettatevi di ascoltare da noi quelle cose che allora il Signore non volle
dire ai discepoli, perché non erano ancora in grado di portarle; ma cercate
piuttosto di progredire nella carità, che viene riversata nei vostri cuori per
mezzo dello Spirito Santo che vi è stato donato (cf. Rm 5, 5), di modo che,
fervorosi nello spirito e innamorati delle realtà spirituali, possiate
conoscere, non mediante segni che si mostrino agli occhi del corpo, né mediante
suoni che si facciano sentire alle orecchie del corpo, ma con lo sguardo e
l'udito interiore, la luce spirituale e la voce spirituale che gli uomini
carnali non sono in condizione di portare. Non si può infatti amare ciò che
s'ignora del tutto. Ma quando si ama ciò che in qualche modo si conosce, in
virtù di questo amore si riesce a conoscerlo meglio e più profondamente. Se
dunque progredirete nella carità, che in voi riversa lo Spirito Santo, egli
vi insegnerà tutta la verità (Gv 16, 13), o, come si trova in altri
codici, egli vi guiderà verso la verità totale; per cui vien
detto in un salmo: Guidami, o Signore, nella tua via, e camminerò nella
tua verità (Sal 85, 11). E così non avrete bisogno di dottori esterni
per apprendere quelle cose che allora il Signore non volle dire, ma basterà che
vi lasciate tutti ammaestrare da Dio (cf. Gv 6, 45); per cui sarete in grado di
contemplare con la vostra anima le cose che avete appreso e creduto attraverso
le letture e le spiegazioni ricevute dal di fuori circa la natura incorporea di
Dio, che non può essere circoscritta da alcun luogo né estesa come una massa
enorme attraverso l'immensità dello spazio, ma è in ogni luogo tutta intera,
perfetta ed infinita, senza splendore di colori né configurazioni di linee,
senza segni letterali e senza successione di sillabe. Ecco, forse vi ho detto
qualcosa che viene di lassù, e tuttavia voi l'avete ricevuto, e non soltanto
siete riusciti a sopportarlo, ma vedo che perfino l'avete ascoltato con
piacere. Se però il Maestro interiore, che quando parlava ancora esteriormente
ai discepoli, disse: Ho ancora molte cose da dirvi, ma adesso non siete
in condizione di portarle, volesse dirci interiormente ciò che io vi
ho detto circa la natura incorporea di Dio, ma nel modo come lo dice ai santi
angeli, che vedono sempre la faccia del Padre (cf. Mt 18, 10), ancora non
saremmo capaci di accogliere la sua rivelazione. Tenendo conto di questo, non
credo che l'annuncio: vi insegnerà tutta la verità, oppure: vi
guiderà verso tutta la verità possa realizzarsi pienamente per qualcuno,
chiunque egli sia, in questa vita: chi infatti, vivendo in questo corpo che si
corrompe e appesantisce l'anima (cf. Sap 9, 15), potrà conoscere tutta la
verità, se l'Apostolo dice: conosciamo solo in parte? Ma è lo
Spirito Santo, di cui adesso abbiamo ricevuto il pegno (cf. 2 Cor 1, 22), a
garantire che noi perverremo a quella pienezza di cui il medesimo Apostolo
parla: Allora vedremo faccia a faccia, e aggiunge: Ora
conosco solo in parte, allora conoscerò anch'io come sono conosciuto (1
Cor 13, 9 12). Non è dunque in questa vita che sapremo tutto e che
raggiungeremo quella perfetta conoscenza che il Signore ci promise nel futuro
per mezzo della carità dello Spirito, dicendo: Egli vi insegnerà tutta
la verità, oppure: vi guiderà in tutta la verità.
5. Stando così le cose, vi esorto, dilettissimi, in nome della carità di Cristo, a guardarvi dai torbidi impostori e dalle sette piene di contaminazioni, di cui l'Apostolo dice: Quanto fanno costoro in segreto è vergognoso perfino a parlarne (Ef 5, 12). Infatti essi, accingendosi ad insegnare le loro orrende turpitudini, intollerabili a qualsiasi orecchio umano, diranno che tali cose son quelle a cui il Signore si riferiva quando disse: Ho ancora molte cose da dirvi, ma adesso non siete in condizione di portarle, asserendo anche che è dovuto allo Spirito Santo se possono attuare cose tanto immonde e nefande. Ma altro sono le abominevoli cose che il pudore umano non è in grado di tollerare, e altro sono le cose sublimi che la debolezza umana è incapace di portare: le prime si compiono nei corpi degli svergognati, le seconde trascendono qualsiasi natura corporea; quelle si consumano nella carne impura, queste possono appena essere percepite da una mente pura. Rinnovatevi nello spirito della vostra mente (Ef 4, 23) - esorta l'Apostolo - per discernere ciò che Dio vuole, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto (Rm 12, 2); affinché radicati e fondati nella carità, possiate comprendere con tutti i santi quale sia la larghezza e la lunghezza, l'altezza e la profondità, e conoscere l'amore di Cristo superiore a ogni conoscenza, onde siate ricolmi di ogni pienezza di Dio (Ef 3, 17-19). E' in questo modo che lo Spirito Santo vi insegnerà tutta la verità, riversando sempre più nei vostri cuori la carità.
(Sant’Agostino, Dal
Commento al Vangelo di S.Giovanni, Sermoni-omelie (N° 96-97-98-99-100)
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