LE API NELL’ANTICO EGITTO E NELLA GRECIA
Nella mitologia e nella religione dell’antico Egitto, così come nella letteratura classica greca, le api e il miele hanno un significato misterioso legato al mondo delle divinità. Il miele è il cibo degli dei, dolce al palato, che scende dal cielo creando un ponte tra il cielo e la terra; è segno di purezza, di castità e di dolcezza. Le api sono il simbolo del culto a diverse divinità di Corinto, Efeso e Creta. Sia in Egitto che in Grecia si trovano testimonianze della presenza del miele in alcuni riti funebri come alimento destinato alla vita ultraterrena.
LE API NELLA BIBBIA
Nella Bibbia (soprattutto nell’AT) l’ape è un archetipo dal significato polivalente, come molti simboli (oggetti, elementi naturali o esseri animali). L’ape è il simbolo dell’operosità, del lavoro instancabile, dello zelo come si legge nel testo greco dei Proverbi:
“Va verso l’ape e osserva com’è laboriosa e quanto è nobile l’opera che essa compie. Re e cittadini, per la loro salute, usano i suoi prodotti; è ricercata e famosa presso tutti, benché debole sotto l’aspetto della forza, i distingue per aver onorato la sapienza” (LXX. Prov. 6,8)
L’ape è anche simbolo di organizzazione e di metodo nel lavoro per costruire il nido e produrre il miele e la cera; è anche il simbolo della bontà che va al di là delle apparenze: “L’ape è piccola tra gli esseri alati, ma il suo prodotto è il migliore tra le cose dolci” (Sir 11,3), per questo è stata anche interpretata come immagine di Israele o della Vergine Maria. Ma d’altra parte l’ape è anche il simbolo dei nemici che attaccano il giusto da ogni parte: “Mi hanno circondato come api” (Sal 117,12). I popoli nemici sono paragonati a insetti fastidiosi: “In quel giorno il Signore farà un fischio alle mosche che sono all’estremità dei canali d’Egitto e alle api che si trovano in Assiria” (Is 7,18).
Il miele, frutto del lavoro delle api, è un dono della bontà e predilezione di Dio: “Lo sazierei con miele dalla roccia” (Sal 81,17); simbolo della dolcezza dei giudizi di Dio che sono “più dolci del miele e di un favo stillante” (Sal 19,11b); simbolo dell’amore: “Le tue labbra stillano nettare, c’è miele e latte sotto la tua lingua” (Ct 4,11); simbolo della terra promessa, una “terra dove scorrono latte e miele” (Es 3,8; 3,17; 13,5 Et al.); anche la “manna”, cibo sceso dal cielo per alleviare il cammino di Israele nel deserto, “aveva il sapore di una focaccia con miele” (Es 16,31); Il miele è il cibo dei consacrati a Dio come Giovanni (Mt 3,4) e come il bambino-Messia annunciato da Isaia che “mangerà panna e miele” (Is 7,15).
LE API E I PADRI DELLA CHIESA
I Padri della Chiesa, sempre sensibili alle metafore tratte dalla vita quotidiana e dalla natura, hanno più volte fatto riferimento alle api nelle loro omelie o catechesi. L’operosità e l’efficacia dell’ape è lodata da Clemente Alessandrino: “L’ape succhia dai fiori di un intero prato per trarne un unico miele”. Teoletto di Filadelfia cita le api come un esempio da seguire, un modello per la vita delle comunità monastiche: “Imitate la saggezza dell’ape!”. Sant’Ambrogio di Milano compara la Chiesa a un arnia dove le api (i cristiani) lavorano con zelo e fedeltà ricercando, ed ottenendo, il meglio da ogni fiore: il miele. Anche Bernardo di Chiaravalle parlò delle api considerandole simbolo della Spirito Santo che vola e si alimenta del profumo dei fiori.
L’ape è anche considerata immagine di Cristo per il suo miele ma anche per il suo pungiglione: è la misericordia (dolcezza) unita alla giustizia (forza). Per Origene l’acqua disseta il pellegrino durante il cammino nel deserto, ma, giunti alla meta, il miele è l’alimento della ricchezza e della vittoria, è il nutrimento dei mistici, il dolce cibo promesso.
IL PAPA PIO XII SUL RUOLO DELLE API
Anche il papa Pio XII ha dedicato elogi alle api, alla loro organizzazione e ai frutti del loro lavoro; lo ha fatto il 22 settembre del 1958 in un discorso ai partecipanti del 17° Congresso Internazionale di Apicoltori convenuti a Roma per l’evento. In quella occasione il papa definiva il mondo delle api come un mondo sorprendente per la mente umana che, fin dai tempi antichi,espresse interesse e curiosità per questi laboriosi insetti.
Dall’attività delle api – sottolineava papa Pacelli – gli uomini ricavano innumerevoli benefici. Prima ancora di parlare del miele (“il prodotto più caratteristico” dalle “preziose proprietà nutritive”), il papa parlò dell’importanza della cera opera di queste “infaticabili lavoratrici”. “Se consideriamo che le candele, destinate all’uso liturgico, devono essere confezionate – interamente o per la maggior parte – con questa cera, dobbiamo ammettere che le api aiutano in qualche modo l’uomo a compiere il suo dovere supremo: quello della religione”.
La perfetta organizzazione della società dell’alveare (una “città industriale dove si lavora in modo assiduo e ordinato”) offriva a Pio XII l’occasione per una riflessione sulla saggezza e intelligenza divina. Se la scienza riconosce nella società delle api una straordinaria capacità organizzativa e una imparagonabile precisione matematica, la filosofia deve escludere che l’intelligenza che rende possibile questa sorprendente realtà sia quella delle api (incapaci di capire e di progredire ma solo di obbedire a un istinto innato): l’origine è da ricercare altrove.
“Cosa concludere se non che l’intelligenza che dirige l’organizzazione dell’alveare e la vita delle api è quella di Dio, che ha creato cielo e terra, che ha fatto germogliare le erbe e i fiori e ha dotato di istinto gli animali? Noi vi invitiamo, cari figli, a vedere l’opera del Signore nell’alveare, davanti al quale rimaniamo meravigliati. Adoratelo, dunque, e lodatelo per questo riflesso della sua divina saggezza; per il cero che si consuma sugli altari, simbolo delle anime che desiderano ardere e consumarsi per Lui; lodatelo per il miele, che è dolce, ma meno delle sue parole, che il salmista definisce ‘più dolci del miele’ (Sal 119,103).
Alla fine del discorso, il papa incoraggiava agli apicoltori a rinforzare la loro fede augurandogli di arrivare a gustare la dolcezza del miele promesso dal Signore:
“Cari figli, che studiate il mondo misterioso e meraviglioso delle api, gustate e vedete, per quanto è possibile qui sotto, la dolcezza di Dio. Un giorno gusterete e vedrete in cielo che l’oceano della sua luce e del suo amore eterno è infinitamente più dolce del miele”.
Articolo tratto da: https://it.aleteia.org/2015/04/11/le-api-il-cero-pasquale-e-pio-xii/
LE API NELLA “LAUS CEREI”
L’importanza del cero pasquale, solennemente acceso nella Notte Santa, si evince anche dall’ampio spazio che gli dedica l’antico inno dell’Exultet – riportato nel Messale Romano – che annuncia il glorioso evento della Risurrezione di Gesù. E’ per questo che, nella storia, questi inni pasquali venivano anche chiamati Laus Cerei.In questa notte di grazia accogli, Padre santo, il sacrificio di lode,
che la Chiesa ti offre per mano dei suoi ministri,
nella solenne liturgia del cero,
frutto del lavoro delle api, simbolo della nuova luce.
Riconosciamo nella colonna dell’Esodo
gli antichi presagi di questo lume pasquale
che un fuoco ardente ha acceso in onore di Dio.
Pur diviso in tante fiammelle non estingue il suo vivo splendore,
ma si accresce nel consumarsi della cera
che l’ape madre ha prodotto
per alimentare questa preziosa lampada.
Ti preghiamo, dunque, Signore, che questo cero,
offerto in onore del tuo nome
per illuminare l’oscurità di questa notte,
risplenda di luce che mai si spegne.
Salga a te come profumo soave,
si confonda con le stelle del cielo.
Lo trovi acceso la stella del mattino,
questa stella che non conosce tramonto:
Cristo, tuo Figlio, che risuscitato dai morti
fa risplendere sugli uomini la sua luce serena
e vive e regna nei secoli dei secoli.
Amen.In questo brano dell’Exultet (o Preconio Pasquale) per ben due volte si fa riferimento alle api che producono la cera con la quale si confeziona il cero e si alimenta la simbolica fiamma.
Grazie ad alcune sue caratteristiche comportamentali come la laboriosità, e alla fornitura di prodotti preziosi, quali il miele e la cera, l’ape ha sempre giocato un ruolo significativo nell’immaginario cristiano. Sant’Ambrogio, ad esempio, paragonò la Chiesa all'alveare e i membri di una comunità alle api, le quali sono in grado di cogliere il meglio da ogni fiore. Da parte sua, San Bernardo di Chiaravalle considerava l’ape un simbolo dello Spirito Santo, forse sulla base dell’idea che le api vivessero solo del profumo dei fiori, dando così un'immagine di grande purezza e continenza.
Ma il ricorso all’ape e al suo mondo presenta anche altri aspetti. L’eloquenza di certi predicatori fu spesso assimilata alla dolcezza del miele, come nel caso di San Giovanni Crisostomo (“bocca d'oro”). Il “dolce” miele servì anche per dare un’idea concreta dell'infinita clemenza di Cristo; allo stesso modo il pungiglione sembrò adatto a simboleggiare il castigo divino nel momento del giudizio finale. Bizzarra è poi la ragione per cui l’ape diventa simbolo della vergine Maria: si tratta di un’immagine derivante dalla credenza popolare secondo cui non sarebbe direttamente l’ape regina a generare la prole, ma le api bottinatrici la trarrebbero dai fiori che visitano (BIEDERMANN, 1991). La Chiesa cattolica attribuisce ad alcuni santi, per antica tradizione o per recente proclamazione, il compito di intercedere presso Dio per alcuni specifici settori e di proteggere i fedeli. Anche gli apicoltori hanno i loro santi protettori: Sant’Ambrogio di Milano (RÉAU, 1955; BALLABIO, 2006), San Bernardo di Chiaravalle e Santa Rita da Cascia (FURIA, 2002).
I PATRONI DEGLI APICOLTORI
SANT’AMBROGIO DI MILANO
Nato a Treviri, in Germania, nel 339 e morto a Milano il 4/4/397. Il suo biografo (Paolino da Milano) narra che un giorno, mentre il piccolo Ambrogio dormiva in una culla nel cortile del pretorio (infatti, il padre, appartenente all’aristocrazia romana, era un funzionario in servizio oltralpe), sopraggiunse all’improvviso uno sciame che si posò sul suo viso con le api che entravano e uscivano dalla bocca. Il padre, che passeggiava nelle vicinanze con la madre e la figlia, proibì alla domestica, cui era stato dato il compito di curare il bambino, di scacciare gli insetti perché aveva intuito che si trattava di un fatto prodigioso. Poco dopo, le api si alzarono in volo salendo così in alto da scomparire alla vista; allora il padre esclamò: “Se questo bambino vivrà, diventerà qualcosa di grande” (MOHRMANN, 1989).
Entrambi i momenti hanno avuto delle rappresentazioni artistiche.
Il primo è raffigurato nell’affresco di Masolino da Panicale (nato a Panicale, PG, nel 1383, morto a San Giovanni Valdarno, AR, nel 1440) presente nella Cappella di Santa Caterina (1428) della chiesa di San Clemente a Roma (JOANNIDES, 1993; LEVI D’ANCONA, 2001). L’affresco (fig. 1a) è stato restaurato negli anni scorsi e l’episodio dello sciame è riportato in alto, a sinistra: ciò che sembra intonaco scrostato è in realtà lo sciame d’api sul risvolto del lenzuolo (fig. 1b). La figura di lato alla culla è la domestica (nella tradizione era chiamata “fantesca”) che tenta di cacciare lo sciame agitando qualcosa. Anche una delle formelle che corredano l’altare maggiore della Basilica di S. Ambrogio a Milano, il cosiddetto “altare aureo di Volvinio” (dal nome dell’orafo che lo eseguì) è dedicata all’avvenimento delle api (fig. 2) (GATTI PERER, 1995).
Tale altare, realizzato in oro e argento dorato, pietre preziose e smalti e risalente agli anni tra l’824 e l’859, è certamente uno dei capolavori dell’arte alto-medievale italiana (CAPPONI et al., 1996). Il lato anteriore dell’altare raffigura alcuni episodi della vita di Gesù mentre quello posteriore è dedicato alla rappresentazione di vari episodi della vita di S. Ambrogio, resi con un gusto particolarmente vivo per la narrazione e per la concretezza dei personaggi, a partire da S. Ambrogio stesso, visto non secondo un’immagine astratta e spirituale, ma come un uomo in carne e ossa. Nella stessa Basilica è presente un affresco del Porta (1738) che, nonostante già nel restauro di tanti anni fa le api -dipinte a secco -non si vedessero più, ha come soggetto “Sant’Ambrogio nella culla” (fig. 3).
Il secondo è riportato dal disegno di Pellegrino Tibaldi (nato a Puria, CO, nel 1527, morto a Milano nel 1596) previsto per uno stallo del coro del Duomo di Milano e oggi conservato nella Biblioteca Ambrosiana (fig. 4).
Non abbiamo ritrovato opere pittoriche, con api, che testimoniano l’attività di Sant’Ambrogio vescovo di Milano (acclamato il 7 dicembre 374), figura ideale del pastore e del liturgo; a quest’ultimo proposito egli è considerato il padre della liturgia ambrosiana. Però vi sono numerose immaginette sacre (i cosiddetti “santini”1) che lo ritraggono sempre con un alveare( figg. 5, 6, 7, 8): infatti, Sant’Ambrogio stesso paragonò la Chiesa a un alveare e il cristiano a un’ape che lavora con zelo e fedeltà (COLUSSI e TOLFO, 1999).
Due opere veramente particolari sono state eseguite in occasione del Congresso di Apimondia, tenutosi nel 2003 a Lubiana (Slovenia): entrambe si riferiscono a sant'Ambrogio, patrono degli apicoltori sloveni. La prima è un dipinto fatto con il propoli su legno d'acero dal pittore Brando Cusin nel 2002 (foto 9) (SIVIC 2003); la seconda è un affresco eseguito da Ronald Plut nel 2003 (fig. 10) sul muro di un apiario a Semic (Slovenia). L’8 dicembre di ogni anno l’Associazione Produttori Apistici delle Province di Milano e di Lodi ricorda il proprio patrono e nell’occasione viene donata una formella, di pregevole fattura, in cera d’api riportante l’immagine di Sant’Ambrogio sovrastante un bugno da cui sono uscite alcune api (fig. 11).
In Germania sono diffuse le stufe rivestite di piastrelle di ceramica o di terracotta; in un’Abbazia del Sud n’è stata ritrovata una (del XVIII secolo) che presenta, tra le altre, anche una piastrella con l’effige di Sant’Ambrogio (fig. 12) (RÜDIGER, 1977). Anche se si tratta di un esempio di artigianato “artistico” più che di una vera e propria opera d’arte, non possiamo non ricordare il grande bugno doppio in paglia riproducente S. Ambrogio (fig. 13). Questa antica arnia, del 1870 e proveniente dal Rijksmuseum di Arnhem (Olanda), è oggi conservata presso il Museo delle Api del Cav. Cappelletti di Bregnano (CO) (BOLCHI SERINI, 1982; BALLABIO, 2006).
SAN BERNARDO DI CHIARAVALLE
Nato a Fontaines, vicino a Digione, nel 1090 e morto a Ville-sous-la-Ferté, Comune della regione della Champagne-Ardenne il 20 agosto 1153, fu il fondatore della celebre abbazia di Clairvaux -in italiano Chiaravalle -, sempre in Francia.
Alcuni dottori della Chiesa, quali San Giovanni Crisostomo e San Bernardo di Chiaravalle, furono famosi per la loro eloquenza (RÉAU, 1955). Per il loro parlare fluente -simile al miele -ebbero come attributo le api che nella tradizione hanno sempre simboleggiato il Verbo, la parola e, quindi, il dolce eloquio. Le api stesse possono essere viste come una figurazione dello Spirito Santo; quest’interpretazione va certamente intesa in senso pentecostale: i Santi citati erano dotati di capacità oratorie nello stesso modo in cui gli apostoli riuscivano a parlare in modo suadente e fluente in tutte le lingue (COLUSSI e TOLFO, 1999).
Per Bernardo l’origine del patronato si rifà ad alcune affermazioni dei biografi, che attribuiscono al santo il nome di doctor mellifluus (dottore fluente come il miele) anche per lo stile raffinato dei suoi scritti (MALOSSINI, 1995). Doctor mellifluus è il titolo dell’enciclica promulgata da papa Pio XII il 24 maggio 1953 nel VIII centenario della morte del Santo.
La scena di Bernardo è ben rappresentata nelle vetrate del chiostro dell’antica -fu fondata nel 1259 -abbazia cistercense di Wurmsbach in Svizzera (Bollingen-Sankt Gallen). Tali vetrate furono realizzate negli anni ’80 del secolo scorso dall’artista Edi Renggli (Luzern) e nel riquadro riguardante il “dottore mellifluo” insegnante (fig. 14), si nota in basso a destra un alveare rustico.
Si può trovare un’immagine di questo Santo in un’incisione di Klauber (famiglia d’incisori molto noti di Augsburg -in italiano Augusta, capoluogo del distretto governativo della Svevia, in Germania – nel XVIII secolo) (fig. 15). In essa San Bernardo è rappresentato orante di fronte al Crocefisso e con un grandissimo alveare alle spalle: numerose api volano sopra un roseto accanto; quest’immagine, realizzata per le abbazie cistercensi, faceva parte di una serie con ritratti di santi.
SANTA RITA DA CASCIA
Nata a Roccaporena, presso Cascia (PG), nel 1381 e morta a Cascia il 22 maggio 1447.
Alla sua infanzia è legato un fatto prodigioso che è riportato dalla tradizione in due versioni: agreste e domestica. Per comprendere la prima versione è bene sapere che i genitori di Rita erano contadini che portavano la piccola, fin dall’età di pochi mesi, con loro al lavoro nei campi, riponendola in una cesta di vimini da appoggiare poco distante.
Un giorno mentre la piccola riposava all’ombra di un albero, uno sciame di api le circondò la testa; le api, però, non la punsero, anzi alcune di esse entrarono nella boccuccia socchiusa nel sonno per depositarvi del miele (l’unica immagine che siamo riusciti a reperire, la fig. 1, è un disegno tratto da un libro sulla vita di Santa Rita di DE MARCHI (1966)). Nel frattempo, un contadino che era con loro e che si era ferito con la falce ad una mano, lasciò il lavoro per correre a Cascia a farsi medicare.
Questi, passando davanti alla cesta e vista la scena, cercò di scacciare le api e qui avvenne la seconda fase del prodigio: man mano che scuoteva le braccia per farle andare via, la ferita si rimarginava fino a chiudersi completamente.
L’uomo gridò al miracolo e con lui, quando seppero del fatto prodigioso, anche tutti gli abitanti di Roccaporena (CATTABIANI, 1993; VAN WESTERHOUT, 2001).
Secondo la versione domestica, mentre la piccola dormiva nella culla alcune api si radunarono sul suo visino (ANGELINI, 1953; RÉAU, 1955). I genitori spaventati volevano scacciarle, ma videro che le api non facevano alcun male alla loro bimba.
Questo episodio è riportato in due quadri: il primo è stato realizzato negli anni ’50 del secolo scorso (fig. 2) da Giovan Battista Galizzi (pittore simbolista di Bergamo, 1882-1963) ed è esposto nella cappella della Santa all’interno della Basilica Santuario a Cascia (PG), il secondo, di autore ignoto, risale al secolo XVII ed è presente nel Monastero di Santa Rita Agostiniana a Cascia (PG) (fig. 3).
Lo stesso episodio è segnalato anche in un piccolo opuscolo (VOLPI, ristampe varie) che da molti anni viene pubblicato dal monastero di Santa Rita Agostiniana di Cascia.
Il titolo attuale è “S. Rita, nuovo profilo storico”, l’anno di edizione non è indicato perché l’opuscolo è continuamente ristampato; l’immagine riportata (fig. 4) però non è un dipinto ma un’illustrazione di cui non si conosce l’autore.
Anche per Santa Rita, una delle sante più venerate in Italia e nel mondo cattolico, vi sono numerose immaginette sacre. Tra queste particolarmente bella (fig. 5) (BARCARO e BRUNETTI, 2004) è quella che la ritrae nella sua cella accanto all’inginocchiatoio mentre, durante un’estasi, riceve da Cristo crocefisso la stigmata (stimmata, stigma, stimma a seconda degli Autori) sulla fronte, stigmata che le rimase fino alla morte; accanto a lei volano alcune api.
Nel libro citato, oltre agli episodi già riportati, si legge anche che numerose api entrarono nella cella della Santa, il giorno della sua morte.
ALTRI SANTI
SAN GIOBBE
In Slovenia, San Giobbe venne assurto a protettore degli apicoltori fino al secolo XIX (quando venne preferito il culto di S. Ambrogio). L’iconografia, comprese le numerose immagini ritratte dalla tradizione popolare sui frontali delle arnie slovene sia moderne1 (fig. 6) sia antiche2 (fig. 7), lo dipinge come un vecchio barbuto, seduto su di un cumulo di letame, con la pelle completamente ricoperta da bubboni da cui escono larve che daranno origine ad api (FLORAMO, 2005). [1] Le arnie attuali, a favo mobile. e molto diffuse in Slovenia sono chiamate AŽ, dalle iniziali del loro inventore, Anton Žnideršic (13/3/1874 -21/2/1947) (Šivic, 1997) [2] La diffusione in Slovenia delle arnie orizzontali risale al 18° secolo; si tratta di arnie di legno di abete o di tiglio, lunghe in media 70 cm., larghe tra i 25 e i 30 cm. e alte tra i 18 cm e i 22 cm (GNILŠAK, 1997). |
SAN GIUSEPPE, SPOSO DELLA VERGINE MARIA
II 2 maggio 2004 è stata benedetta e riaperta al culto la cappella di San Giuseppe a Lansprez (Slovenia), abbandonata dopo la seconda guerra mondiale e restaurata grazie all’impegno dell’Associazione apicoltori sloveni3.
[3] L’intervento di questa associazione si spiega col fatto che nella cappella di San Giuseppe vi è la tomba di Peter Pavel Glavar (1721-1784), “colonna” dell’apicoltura in Slovenia.
Nell’abside di questa cappella è esposto un dipinto eseguito nel 2004 dal pittore sloveno Cusin. In esso è raffigurato San Giuseppe, molto pensieroso, appoggiato al suo tavolo da lavoro: essendo un falegname, egli si sarebbe dedicato, secondo l’A., anche alla costruzione di arnie. Infatti, sul tavolo da lavoro sono appoggiate tre arnie in legno di tipo sloveno (fig. 8).
SANT’APOLLINARE
L’intero catino absidale della basilica di Sant’Apollinare in Classe, presso Ravenna (consacrata nel 549), è decorato con uno splendido mosaico che rilegge in chiave simbolica l’episodio evangelico della Trasfigurazione, riconosciuto “patrimonio dell’umanità” dall’UNESCO (organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura) (RIDOLFI, 2006).
Al centro di questo si erge solenne la figura di Sant’Apollinare, primo vescovo di Ravenna, con le braccia aperte in atteggiamento orante: egli è ritratto nel momento di innalzare le sue preghiere a Dio perché conceda la grazia ai fedeli affidati alla sua cura.
La sua veste, che si potrebbe intendere come “casula”, è ricamata con numerose (per la precisione 207) api (fig. 9). La rappresentazione è fortemente simbolica, per cui gli elementi della natura perdono, in questo mosaico, ogni connotazione realistica, concreta, essendo piuttosto composti di pure forme astratte e ripetute.
SAN MADONNOC
Questo santo (noto anche come Modomnock, Domnock o Dominic d’Irlanda e la cui festa si celebra il 13 febbraio), discepolo di S. David, andò a vivere presso il Monastero di Mynyw (Menevia) in Galles ove esercitò l’apicoltura. Quando tornò in Irlanda (ove morì nel 550) la leggenda vuole che le api del Monastero di Mynyw lo seguissero fin là (fig. 10) (CASAGRANDE, 1956).
CONCLUSIONE
Da questa carrellata emerge come l’ape domestica compaia in molte rappresentazioni artistiche inerenti alla vita di numerosi santi (sia del Vecchio Testamento, sia del Nuovo Testamento, o semplici Santi riconosciuti dalla Chiesa). In diversi casi le api vengono ritratte non solo per il loro valore simbolico ma anche perché hanno una qualche relazione con specifici episodi miracolosi accaduti a determinati santi. Per correttezza occorre segnalare che il cosiddetto “miracolo delle api” è di origine pagana (ne parlano anche Platone, Pindaro, Virgilio e Lucano) e preannuncia la futura grandezza di un personaggio che nel proseguio della sua vita diventerà un eroe. Il significato simbolico dell’ape si basa soprattutto sulla sua operosità e sull’organizzazione della sua famiglia. Inoltre, essa è divenuta simbolo di purezza: infatti, evita ogni impurità e vive del “profumo” (con questo termine s’intendono il nettare e il polline) del fiore.
RINGRAZIAMENTI
Per la collaborazione prestata desideriamo ringraziare Mario Brunetti di Arcugnano (VI), Erminio De Scalzi, vicario episcopale della città di Milano www.santambrogio-basilica.it, Francesco Diani della redazione di “Santi e Beati” www.santiebeati.it, Franco Frilli dell’Università di Udine, Caterina Furlan del- l’Università di Udine, Damiano Marco Grenci di Sesto San Giovanni (MI), Doris Grünenfelder dell’Abbazia di Wurmsbach, Svizzera www.wurmsbach.ch/kloster, Francesco Intoppa e Maria Gioia Piazza dell’ISZA, Sezione operativa per Apicoltura di Roma www.apicoltura.org, Patrizia Mair del Museo Diocesano Bressanone (BZ) www.hofburg.it, Andrea Malossini di Monterenzio (BO) www.mieliditalia.it, Stefania Mason dell’Università di Udine, Patrizia Roca della redazione di “Cartantica” www.cartantica.it, Fausto Ridolfi di Castelletto di Serravalle (BO), Francesco Scorza Barcellona dell’Università di Roma “Tor Vergata”, Franc Šivic dell’Associazione apicoltori della Slovenia (Ljubljana), Pierluigi Stradella di Sassuolo (MO), Natalina Todeschini della Basilica Santuario di Cascia (PG) www.santaritadacascia.org, Maria Grazia Tolfo di Milano, Pietro Zandigiacomo dell’Università di Udine.
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L’ape nell’iconografia dei Santi
Tratto da http://www.apicolturaonline.it/apeiconografica.html
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